Scheda

Verbovsek Leopold (Poldo) Marijan



Didascalia:

Leopold (Poldo) Verbovsek in un'immagine del 1944 di proprietà della famiglia Nesci di Piobbico (PS).

Famigliari compresenti: /
Coniugato/a con: Rosina (Peppina) Ioni
In Italia a: /
In Italia da: Lubiana, Jugoslavia
Percorso di internamento:  Piobbico (PS) dal giugno del '42 a tutto il '43. Qualche giorno dopo l'armistizio si dà alla fuga per unirsi ai partigiani. Resta attivo in un largo territorio marchigiano fino alla Liberazione. 
Ultima località o campo rinvenuti: Piobbico (PS)
Deportato: no
Ucciso in Italia: no
Dopo la fuga e/o la liberazione a: /
Fonti:

A1; A2; APz; ASCA; ASCPI; VER; Ar.ANPI; Car; ASCCAN; Pret.Ca; GuAp, Reli, Bad.


Presente fasc. in ASP: no
Profilo biografico:

Presso l’Archivio di Stato di Pesaro su Verbovsek non c'è fascicolo. I dati sono tratti da altre fonti, in particolare il diario di quegli anni scritto dallo stesso Leopold e ripreso per tutta la vita, per cui ne esistono diverse versioni. 

In una fonte gli viene attribuita la stessa data di nascita di Grom Milan, il cui nominativo segue immediatamente nella lista degli internati. Il dubbio che si tratti di errore di trascrizione trova conferma in altri documenti dai quali si ricava la data del 2 maggio 1922. Leopold (Poldo) Verbovsek nasce a Longatico (Logatec) da Josef e Sofia Gregoric.

A quanto dice lui stesso, la madre era una cattolica convinta, il padre meno praticante. Nella lista degli internati presenti in provincia di Pesaro alla data del 31 marzo '43, viene classificato come ebreo, appartenenza religiosa confermata da quanto risulta nell'Archivio di Bad Arolsen. 

Inoltre, il rapporto con altri ebrei è strettissimo e di grande interesse risultano i riferimenti al periodo di internamento e alla lotta partigiana, eventi che spesso coinvolgono anche internati ebrei.  

Nelle pagine del diario egli racconta la sua formazione, con adesione precoce, fin dal ’39, a gruppi di dissidenti di ispirazione socialista e comunista. Poi nell’aprile del ’41, con l’invasione italiana della Jugoslavia, il suo gruppo viene scoperto. Poldo è incarcerato e destinato al “confinamento”. La traduzione in Italia avviene in treno nei primi giorni di aprile '42. Si tratta di 108 sloveni, tutti inviati in internamento. Distribuiti nelle carrozze, sono incatenati in gruppi di otto.

 Poldo ricorda fra i compagni di viaggio anche Grom Milan, insegnante a Loski Potok.  Secondo la ricostruzione del protagonista, il trasferimento conosce lunghe soste nelle carceri di Padova, Ferrara, Ancona e infine Pesaro e solo il 13 giugno inizia l'internamento, a Piobbico per Verbovsek e ad Apecchio per Grom. I due sono insieme anche nel trasfrimento per raggiungere la destinazione finale in quanto vengono accompagnati dagli stessi agenti. 

 A Piobbico, Verbovsek dimora presso l'albergo Montenerone come Jacob/Giacomo Schkolnik con il quale stabilisce uno stretto rapporto di amicizia. Poldo annota nel diario che gli viene destinata la camera utilizzata fino al giorno prima (12 giugno ’42) da Lelio Basso, futuro padre della Costituzione italiana, internato nel comune da diverso tempo. 

Nell’agosto del ’42, su richiesta della questura, il podestà trasmette informazioni sulle condizioni economiche degli internati presenti in quel momento. Oltre a Verbovsek - che riceve il sussidio statale e “circa lire duecento mensili dalla famiglia” - sono ricordati due slavi, Skarica Dane di Sebenico (benestante e dunque senza sussidio) e Korencun (Korencan) Carlo di Lubiana, sussidiato ma bisognoso di un aumento del contributo statale. Inoltre, è segnalato l’italiano Pietro Jetto il quale oltre al sussidio gode di una pensione di 300 lire e in più guadagna qualcosa come pittore. Su di lui, Poldo esprime un giudizio piuttosto pesante in quanto lo considera un delatore.

Contemporaneamente a Verbovsek è internato per un lungo periodo, con alterne vicende, anche il russo Nicola Procopovik (Procopovich), professore di lingue domiciliato a Genova e classificato come ortodosso e apolide. Prosciolto dopo il 25 luglio ’43, Nicola subisce il carcere nel ’44, è di nuovo internato e sussidiato fino al 1945.

Poldo come gli altri internati deve firmare la presenza due volte al giorno, alle 10 in municipio e alle 16 in caserma. Può circolare entro 500 metri dal centro del paese, limite che verrà portato a 800 metri. In realtà ben presto egli aumenta le distanze di sua iniziativa, tanto che riesce a fare lunghe passeggiate sul monte Nerone, in tempo per la firma del pomeriggio. 

Un anziano "sovversivo" del paese, Miles Tenchini, raggiunge giornalmente in bicicletta il gruppo degli internati sulle strade del paese e, fingendo di occuparsi delle ruote, dà loro informazioni e incoraggiamento. 

Dopo l’otto settembre ’43, con il cambiamento del clima politico, Poldo si sente libero e cessa di presentarsi dalle autorità per la firma. Di conseguenza non ottiene più il sussidio e fatica a mantenersi, essendo restio a chiedere aiuti come annota nel suo diario. In quel momento stabilisce una relazione con una famiglia di campagna che diventerà quella dei suoi suoceri: si tratta degli Ioni di Acquanera. In questo borgo farà rifugiare alcuni suoi amici di Lubiana e forse anche Jacob/Giacomo Schkolnik, il quale però viene rintracciato e arrestato dall’appuntato Conteduca. Noi sappiamo che questo avviene ai primi di dicembre ’43 e che l'arrestato viene recluso a Cagli. 

All’inizio del '44 inizia la vita di Verbovsek tra i partigiani, in stretto rapporto con gli antifascisti del territorio. Nella frazione di Secchiano di Cagli un riferimento sicuro è il mulino dei Virgili i quali fra l’altro - tramite il partigiano Samuele Panichi - ospiteranno e nasconderanno una famiglia di ebrei, per cui verranno dichiarati “Giusti”.

Sempre nel gennaio ’44 una parte del gruppo, comprensiva di Poldo e di due ebrei, l’italiano Mario e il tedesco Max, si rifugia presso il podere Rosara a Sassorotto, tra Apecchio e Urbania. Il rifugio doveva essere ben conosciuto perché anche l’internato ebreo Lazzaro Werczler, fuggito dopo l’arresto del dicembre '43, in quello stesso mese era stato condotto dalla famiglia Campana  presso quel podere, di proprietà Romanini.

Il partigiano Max è da identificarsi con Max Federmann di Francoforte sul Meno, del '23, il quale da Nonantola (Mo) dov'era vissuto con gli altri "ragazzi di Villa Emma", raggiunge le Marche e si unisce alla Resistenza. In seguito, ammalatosi gravemente, Max è aiutato dalla famiglia Alessandri di Cagli la quale per il soccorso prestato sia a lui che ad altri perseguitati, sarà riconosciuta "giusta tra le nazioni".

L’attività partigiana di Verbovsek continua con azioni “a sorpresa” in un territorio abbastanza largo: Piobbico e frazioni, Apecchio, Cagli, Monte Nerone, Acqualagna, Cantiano e alcune zone umbre. Nel suo gruppo, che si accresce di aderenti nel corso dei mesi, sono ricordati italiani di varia provenienza, molti slavi e alcuni ebrei, fra i quali il Mario già citato e il tedesco Max.

Il più delle volte le azioni guidate da Poldo sono incruente. Oltre a cercare di aiutare i renitenti alla leva con la distruzione degli archivi comunali, i piccoli drappelli partigiani tendono a tagliare collegamenti e a danneggiare le vie di comunicazione. Gli spostamenti sono continui sia per disorientare le forze fasciste, sia per evitare rappresaglie ai danni della popolazione. La stessa tattica era usata anche in Jugoslavia. 

Ma il fatto più rilevante ha relazione con il carcere mandamentale di Cagli. Qui oltre a Schkolnik sono reclusi altri ebrei e diversi jugoslavi, alcuni dei quali montenegrini. Dell’episodio abbiamo sia il resoconto di parte fascista, sia quello di parte partigiana. In proposito, Verbovsek annota nel suo diario che il 15 marzo ’44 gli viene recapitata a  Vilano, frazione di Cagli dov'è nascosto, una lettera dei prigionieri scritta in croato da uno di loro, Alfred-Dusan Kristan.

E’ interessante notare che il messaggio gli giunge  da un corriere-donna che si muove a cavallo: la moglie del partigiano Samuele Panichi, “l’americana” come la chiama Poldo. Egli scriverà che la lettera, uscita dal carcere legata a un filo e coperta da un pezzo di sapone, era stata raccolta da due ragazzine della famiglia Magnacavallo che abitava di fronte alla cella. Le ragazze l'avevano consegnata ai Panichi.

Il testo inizia con le seguenti parole: “Cari compagni, da tre mesi ci troviamo qui nel carcere a Cagli attendendo ogni momento che veniate a liberarci...”. Dusan argomenta l'appello dicendo che il pericolo è imminente. Lui e gli altri reclusi (parla di sei jugoslavi e tre ebrei) temono di cadere ben presto nelle mani dei nazisti i quali si sono fatti vivi telefonicamente. Suggerisce che i partigiani sorprendano il custode. Altrimenti cercheranno altre strade per scappare. Il custode è spesso assente e quasi sempre solo, a parte sua moglie e quattro bambini. Il biglietto si conclude così: “Con fraterno saluto: Morte ai fascisti! 9 – 3 – 1944”.  

Con la generosa irruenza che gli è propria, Verbovsek decide di intervenire immediatamente con un gruppo formato da tre sole unità di cui uno è lui, il secondo è un altro slavo - Beppe/Joze Kotnik - e il terzo è un italiano, detto "l'ebreo Mario". I tre giovani partigiani hanno tra i ventuno e i ventidue anni, essendo nati nel 1922, come afferma lo stesso protagonista. L’azione, che avviene di notte il 17 marzo, è descritta dettagliatamente sia nel diario che in una memoria dal titolo "Liberazione dei prigionieri a Cagli" firmata da Leoldol Verbovsek e redatta a Nova Goriza il 18 dicembre 1985, depositata presso l'ANPI di Pesaro. Qui l'ebreo Mario viene chiamato Cecconi e in effetti Mario Cecconi, nato a Jesi il 5 dicembre 1922 da Giovanni e Erina Tommasoni, risulta partigiano combattente presso la V brigata Garibaldi Pesaro dal 1 marzo 1944.

“Il battito del cuore si sentiva fino ai piedi”, scrive Poldo, il quale sapeva della presenza di circa cinquanta fascisti. Il presidio di Cagli sulla via Flaminia rivestiva infatti notevole importanza strategica. Il gruppo dei repubblichini si trovava in paese da diverso tempo e alloggiava presso il teatro, non lontano da Porta Massara. Con l’aiuto di due cittadini di Cagli - il maestro Armando e il carrettiere Buongarzoni - il drappello entra dalla Porta citata fin dentro la città medievale, che non conosce minimamente. Dopodiché, Mario Carboni, fratello di un amico di Verbovsek, li informa sul cammino della ronda e li conduce davanti alla prigione. 

Il rumore fa uscire il custode Lumbrici al quale Poldo ordina, pistole in pugno, di aprire i cancelli. Tutte le celle vengono raggiunte e aperte. Qualcuno ha paura e non vuole seguirli, fra questi sono ricordati Vasilij Mustur, sedicente parente della regina Elena, e "qualche ebreo" che preferì restarvi "con la sua roba". Poldo è vestito da fascista e armato vistosamente, pertanto non tutti si fidano di lui. Nella memoria  specifica sull'azione di quella notte, egli ribadisce che alcuni ebrei anziani erano "preoccupatissimi per le loro valigie" ma "i miei montenegrini li aiutarono a portarle via".  In sostanza, secondo la sua ricostruzione,  gli ebrei liberati sono tre - anche se poi fa solo il nome di Schkolnik - e gli  jugoslavi  cinque.

Al custode che lamenta di essere rovinato, il capo del drappello scrive una quietanza: "In nome della 5° brigata io li lasciai liberi. Poldo."  Il giorno dopo, Leopold Verbovsek inizia le trattative per entrare nel distaccamento comandato da Samuele Panichi, il 4° battaglione.

Samuele Panichi di Nicola, nato a Pianello di Cagli nel 1888, opera dall' 11/11/'43 al 27/8/'44, come sarà attestato nella seduta dell'ANPI di Ancona del febbraio '46.

Il rapporto della  GNR di Cagli  all'omologo presidio di Pesaro sull'incursione al carcere è datato 18 marzo ‘44. Vi si scrive che irrompono nella prigione "due sconosciuti armati moschetto et pistola", mentre "altri sconosciuti rimasero guardia portone ingresso carceri... altri infiltravansi nascosti adiacenze abitato", uomini che si ritiene facciamo parte "delle bande ribelli infestanti zona". Qui si registra l’evasione di sei persone, quattro slavi individuati con nome e cognome seppure con errori - uno di loro è Dusan Kristan, poi ci sono Dimbovic, Kezunovic, Cujovic (Aniovic) - e due ebrei, Bianchi/Weisz Ervino e Schkolnik Jacob/Giacomo. Tutti e sei i prigionieri erano internati. Dopo una breve sparatoria, i fuggiaschi secondo il rapporto si allontanano in direzione di Secchiano di Cagli. 

Nel fondo archivistico della Pretura di Cagli sono presenti alcuni documenti inerenti ai fatti. Il primo è la lettera di un partigiano italiano di nome Pacoia Francesco, di Perugia, datata 20 aprile '45. Francesco, di ritorno dal Montenegro dove aveva combattuto con la divisione Garibaldi, porta con sè l'appello di due famiglie montenegrine le quali hanno perso notizie dei loro congiunti. Una di queste è la famiglia di Cujovic Mattia, l'altra quella di Ivan Rahovic.

La risposta del direttore del carcere datata maggio 1945, è del seguente tenore: egli dice che dopo la fuga collettiva i due citati si unirono alle bande partigiane combattendo sulle montagne di Cagli fino al termine del conflitto (luglio '44), come attestato da "un ebreo". Poi raggiunsero Roma-Cinecittà e in seguito Bari per rimpatriare.

Il secondo documento riguarda Vasilij Mustur e consiste in una lettera intitolata “Dichiarazione dell'ex internato politico Mustur Vasilie, detenuto nel carcere di Cagli”, presentata “spontaneamente” al Pretore il 24 luglio 1945. Egli dichiara di essere appartenuto alla Divisione partigiana “Modena”, di essere stato in carcere a Cagli dal 20 dicembre 1943 al 18 marzo 1944 per ragioni politiche e di aver avuto “un trattamento ottimo da parte del custode Lumbrici e di sua moglie”. Aggiunge che il Lumbrici “esplicava le sue funzioni scevro da ogni sentimento politico”. Dopo l'evasione “coatta” di cittadini “alleati” fra i quali cinque slavi, egli rimase in carcere a Cagli e il giorno seguente fu trasferito in quello di Pesaro. La dichiarazione del custode al Questore di Pesaro che sia Mustur che altri due reclusi ebrei, pur potendo fuggire non l'avevano fatto ed erano rimasti reclusi spontaneamente, aveva evitato la loro fucilazione.

Ora, uno dei reclusi rimasti in cella è Pocorni (Pokorni) Paolo (Pavel), l'altro è Gottesmann Giorgio. In realtà, a proposito di quest'ultimo Mustur dice che era fuggito con i compagni a seguito dell'intervento dei partigiani, ma era tornato nella cella per riprendersi un paio di scarpe. Quando poi era sceso, sentendo sparare nelle vie, impaurito, non aveva più tentato di raggiungere i compagni liberati.

La figura di Mustur è controversa. Poldo allega alla sua memoria un documento con i nomi dei carcerati, in cui Mustur è definito "spia fascista" proprio perché rimase in carcere e non fuggì con gli altri slavi. Nell'opera della Carolini, Pericolosi nelle contingenze belliche, si legge a propsito di Mustur che, nato a Castelnuovo di Cattaro il 22/2/1922, consegue la maturità privatamente per non iscriversi alla Gil, poi si trasferisce a Bologna dove frequenta l'Università e dove svolge attività antifascista tra gli studenti dalmati, incitandoli a tornare in Jugoslavia al momento dell'occupazione italiana, per combattere. La prefettura di Bologna lo segnala nel maggio '43 per attività antifascista, pertanto viene internato in Provincia di Pesaro. Sarà liberato il 28 giugno '44.

Tornando al diario di Verbovsek, egli annota che i prigionieri corsero per tre chilometri per raggiungere la famiglia amica che gestiva il mulino di Secchiano (Virgili) dove furono accolti e rifocillati, poi si stabilirono "al sicuro" nella "caserma" partigiana di Vilano, raggiunta con la carrozza postale a cavallo, requisita. Il giorno seguente fecero festa con la popolazione locale. L'autore della memoria allega alla stessa l'elenco già citato dei 18 reclusi presenti in carcere quella notte, il cui originale si trova presso il Museo della Liberazione di Lubiana, mentre la copia era in possesso dell'ex custode Giuseppe Lumbrici dal quale egli l'aveva ottenuta dopo la guerra.

Se 8 sono fuggiti - o dieci, come si legge in altro documento ANPI, fascicolo Verbovsek - di certo alcuni reclusi hanno scelto di non farlo, forse per paura. Dall'elenco completo ricaviamo i nomi degli ebrei che probabilmente non fuggono: per Gottesmann si veda quanto detto sopra e nella sua scheda. Fra coloro che rimasero in cella dovrebbero esserci poi i coniugi Goldberg, i fratelli Ciril e Alfons Weiss e Milan Grom del quale si dice che dopo la guerra torna a casa e non lo si definisce ebreo. 

Stessa cosa per  Pokorni Pavel, detto semplicemente "austriaco", mentre è sicuramente ebreo. Fu tradotto da Fiume a Vicenza nel novembre 1941, internato a Lonigo dal quale si allontana arbitrariamente il 17 settembre 1943. Pavel Pokorni sarà successivamente deportato al campo di concentramento di Fossoli con la moglie, la quale risulta a Cagli nel periodo della carcerazione del marito. Entrambi sono deportati ad Auschwitz da cui solo lei tornerà viva.

Restano poi in carcere due inglesi, Evelin Mitchell e Hugo Dixon, oltre a Mustur, già menzionato. In ogni caso rimangono dubbi sul terzo ebreo fuggito, di cui non abbiamo il nome.

Le azioni di Verbovsek continuano anche nell'Appennino umbro e poi di nuovo in quello marchigiano, ad Acqualagna e a Cagli: poche decine di uomini contro centinaia di nazifascisti. Il 13 giugno '44 il nostro si sposa con un'italiana di Piobbico.

Tra agosto e settembre il territorio viene liberato e per Poldo finisce la vita da partigiano. Nel suo libretto personale, sigliato "Ministero dell'Italia occupata", si legge che è stato partigiano combattente dal 18 gennaio al 30 luglio '44.

Intanto, i contatti con la sua famiglia d’origine sono stati interrotti. E sarà solo nel luglio ’45 che, grazie all’intermediazione di un ex internato ebreo triestino, potrà rintracciarla. Il triestino cui Poldo si riferisce è Oscar Polacco che prima di tornare a casa sarà nominato sindaco di Piobbico, ricoprendo la carica per alcuni mesi nel territorio finalmente liberato. A settembre di quell’anno Poldo torna in Slovenia con la moglie e il figlio. Sua madre era reduce da un campo di concentramento nella stessa Slovenia e suo fratello dal campo di Dachau.

Il nome di Verbovsek compare nel gruppo degli jugoslavi che combatterono nella formazione partigiana "V° Brigata Garibaldi Pesaro" nel territorio di Piobbico. In opere sulla lotta di liberazione vengono ricordate azioni sotto la sua guida avvenute nel febbraio '44, con assalto al municipio del comune stesso e distruzione di documenti relativi agli anni 1922/'24 per impedire il reclutamento dei giovani alla leva militare.  

Nel 1962, quando Poldo ritorna con altri partigiani suoi connazionali nei luoghi dove aveva combattuto contro i fascisti, viene accolto con grande coinvolgimento da parte della popolazione e onore da parte delle autorità.

In Jugoslavia, Verbovsek non si trova in sintonia con il Governo di Tito nei cui confronti esprime giudizi impietosi. Anche per questo l'Italia diviene la sua seconda patria: Leopold Verbovsek ottiene la cittadinanza italiana. Muore a Lubiana il 22/05/2011.