Confino e internamento in epoca fascista

Fin dall’emanazione nel 1926 delle “Leggi Speciali” (Provvedimenti per la difesa dello Stato), il Governo fascista aveva istituito presso ogni prefettura una “Anagrafe delle persone sospette in via politica” in cui comparivano i nominativi di coloro che andavano arrestati in caso di particolari contingenze, momenti di tensione sociale e, ovviamente, stato di guerra. Ben presto lo stesso governo aveva iniziato a confinare gli oppositori nelle piccole isole del Sud: Lipari, Ventotene, Tremiti, Ponza, Ischia, Pantelleria, Ustica. Gli schedari provinciali facevano capo al Casellario politico centrale, creato nel 1894 per il controllo dei “sovversivi”, che arriverà a contenere centosessantamila fascicoli.

Contestualmente, fin dal giugno del ’25, con la Legge n. 969 riguardante sia italiani che stranieri in grado di portare le armi e capaci di attività nociva agli interessi della nazione, il Governo aveva provveduto a organizzare la disciplina della nazione in guerra. Nel decennio successivo, tra il ‘30 e il ‘40, era stata definita una puntuale normativa che, attraverso il Ministero dell’Interno, trovava meticolosa applicazione nelle prefetture e nelle questure. In sintesi, si dettavano le norme per i servizi di “vigilanza e prevenzione” e si disponevano le misure per l’internamento. Nel contempo venivano istituiti due schedari aggiornati periodicamente in ogni prefettura, uno per gli italiani e l’altro per gli stranieri, con i fascicoli personali degli individui sospetti di spionaggio o comunque capaci di esercitare propaganda anti-italiana.

Nel maggio del ‘36 il Ministero della Guerra, che ne aveva competenza, indicava una serie di province – Macerata, Ascoli Piceno, L’Aquila, Avellino e Perugia – all’interno delle quali ubicare i primi tre campi di concentramento previsti, ognuno dei quali doveva essere in grado di accogliere un numero di internati non superiore alle millecinquecento unità.

Con Regio Decreto datato 8 luglio ’38, venivano promulgate le norme atte a disciplinare l’applicazione dell’internamento nei confronti degli stranieri presenti in Italia, se cittadini di paesi belligeranti. All’art. 284 il testo recita: il Ministero dell’Interno, con un suo decreto può disporre l’internamento dei sudditi nemici atti a portare le armi o che comunque possano svolgere attività dannosa per lo Stato.

Di fatto il provvedimento venne attuato solo dopo l’emanazione del Regio Decreto n.566 del 10/6/’40, susseguente alla dichiarazione di guerra da parte dell’Italia. Il compito di occuparsi degli stranieri spettò alla Divisione affari generali e riservati, III^ sezione, della Direzione generale P. S.. Mentre per questi ultimi scattava la legge di guerra, per gli italiani era ancora vigente il Testo Unico del ’31, con gli aggiustamenti apportati dal Regio Decreto n.1374 del 17/09/’40, Modificazioni ed aggiunte al Testo Unico per il periodo dell’attuale stato di guerra, che conferivano all’internamento anche un carattere di misura preventiva.

Già tre mesi prima, tale misura veniva resa operativa grazie alla circolare ministeriale n.442/38954 del 1/6/’40 la quale recita: appena dichiarato lo stato di guerra dovranno essere arrestate e tradotte in carcere le persone pericolosissime, sia italiane che straniere segnalate… per l’immediato internamento.

Le classi di rischio previste erano cinque: pericolosissimi, pericolosi perché capaci di turbare il tranquillo svolgimento delle cerimonie, pericolosi in caso di turbamento dell’ordine pubblico, squilibrati mentali, pregiudicati per delitti comuni.
S. Capogreco, G. Tosatti, P. Carucci e S. Carolini.