Dalla caduta di Mussolini al Governo Badoglio

Il 25 luglio ‘43, con la caduta e l’arresto di Mussolini, le migliaia di cittadini arbitrariamente segregate nel Regno vedono delusa l’aspettativa di ritornare in libertà. Il nuovo Governo presieduto dal maresciallo Badoglio non adotta infatti alcuna seria misura per sanare la vergogna delle leggi razziali e prosciogliere gli ebrei dalla prigionia. Essendo molti di essi antifascisti e anti-nazisti, la diffidenza permane, tanto è vero che vengono liberati con il contagocce.

La circolare ministeriale n. 441/46984 del 29 luglio ’43 dispone il rilascio dei soli internati italiani, ebrei e non, qualora non abbiano commesso fatti di particolare gravità e non siano comunisti o anarchici. Nulla si decide per gli internati stranieri, almeno fino all’armistizio. Due giorni dopo, il 10 settembre ’43, un provvedimento del Capo della polizia, C. Senise, dispone che questi, ebrei compresi, vengano liberati dalla detenzione secondo quanto previsto da una clausola del testo sottoscritto con gli anglo-americani. Ma ormai è tardi. L’esercito tedesco ha occupato gran parte dell’Italia Centro-settentrionale e la sorte di oltre cinquemila persone di religione ebraica e nazionalità straniera è fortemente a rischio.

C’è da dire che nel periodo di sbandamento seguito alla caduta del Duce, la vigilanza si era allentata e le misure di sicurezza, per quanto non revocate, erano risultate meno ferree. Pertanto, nella vaghezza delle direttive, i più lungimiranti e risoluti erano fuggiti dai luoghi di internamento per mettersi in salvo senza attendere provvedimenti ufficiali di proscioglimento.
L.Picciotto e S. Capogreco.