Presentazione

 

 

 Le storie vere sono scritte a più mani

Nell’affrontare il capitolo dell’internamento di cittadini ebrei in Italia nel corso del secondo conflitto mondiale è di rigore distinguere due fasi: la prima inizia il 10 giugno 1940 con l’entrata in guerra del nostro Paese e termina il 25 luglio 1943 con la deposizione di Mussolini, la seconda parte dalla costituzione della Repubblica Sociale Italiana nel settembre ’43 e si conclude nell’aprile del 1945 con la fine dell’occupazione tedesca.

In una prima fase, l’internamento di persone cosiddette di razza ebraica riguarda principalmente i cittadini stranieri presenti nel Regno al momento della dichiarazione di guerra da parte di Mussolini. Gli ebrei italiani segregati assieme a costoro fin da giugno ’40 lo sono infatti in quanto ostili al Regime e quindi “pericolosi nelle contingenze belliche”.

Nella seconda fase, l’internamento e la deportazione riguardano espressamente gli ebrei in quanto tali, quali ne siano la nazionalità o la presunta pericolosità, come dispone l’Ordinanza di polizia del 30 novembre ’43.

Ora, pur riconoscendo una differenza di grado e di sostanza fra i due momenti, nel compilare il database sull’internamento in Provincia di Pesaro abbiamo scelto di considerare nel novero dei cittadini segregati fin dal 1940 per ragioni di “razza”, anche gli italiani. Ci è parso infatti di cogliere nell’imminenza dell’entrata in guerra dell’Italia, un’esplicita volontà persecutoria antisemita sia ai livelli alti dell’apparato statale che a quelli periferici delle prefetture e delle questure.

Come documenta Spartaco Capogreco quando cita due autorevoli esponenti del Regime, il Capo della polizia, Bocchini, e l’allora sottosegretario di Stato, Buffarini Guidi, è noto che il Duce intendeva predisporre campi di concentramento per ebrei non appena l’Italia fosse intervenuta a fianco di Hitler. Ancor prima, nel febbraio del ’40, lo stesso Mussolini aveva fatto comunicare al presidente dell’Unione delle Comunità Israelitiche, Dante Almansi, l’intenzione del Governo di espellere tutti gli ebrei dalla penisola.

Sul tema si può vedere di Spartaco Capogreco  I campi del duce, 2006, pp. 114-116.

In piena sintonia con il Capo del Governo, fin dal giugno ’40 nelle schede segnaletiche predisposte per gli internati, i funzionari della Questura di Pesaro rimarcano l’appartenenza razziale come motivo della segregazione. Lo stesso questore, al quale un internato si rivolge per chiedere spiegazioni sulla sua triste sorte, risponde con ruvida franchezza: “L’internamento è dovuto all’appartenenza alla razza ebraica” (ASP, Vittorio Astrologo).

Quando la presunta pericolosità compare, risulta solo da una lettura approfondita della documentazione e non è immediatamente segnalata. Il fatto che solo una piccola parte degli ebrei italiani abbia subito arresto e internamento nei primi anni della guerra, si spiega a nostro avviso con le stesse ragioni che resero impossibile l’espulsione dell’intera comunità di oltre 40.000 concittadini. Allo stesso modo era tecnicamente impraticabile segregarli tutti nei piccoli comuni.

Concordiamo con lo studioso Mario Toscano quando afferma che prima di trarre conclusioni affrettate sulle ragioni dell’internamento degli ebrei italiani occorre fare un serio approfondimento. Tuttavia, dalla documentazione reperita negli archivi del territorio pesarese abbiamo avuto conferma che l’appartenenza razziale era fattore primario, se non dirimente, nella selezione dei cittadini “pericolosi” da internare.

Il presente lavoro, relativo alle oltre 250 persone obbligate alla permanenza coatta in Provincia di Pesaro, comprende quindi entrambe le tipologie di cittadini ebrei, gli stranieri e gli italiani. I primi compaiono già in gran parte nei database di Anna Pizzuti e Francesca Cappella, ora consultabili in uno stesso sito del Cdec, tuttavia abbiamo ritenuto di riproporre i loro nominativi sia per arricchire, ove possibile, la biografia dei perseguitati, sia per rivedere le singole situazioni alla luce della documentazione conservata negli archivi dei comuni di internamento.
Del resto, nella presentazione del suo imprescindibile lavoro, Anna Pizzuti auspica che altri ricercatori si muovano in questa direzione per individuare casi non emersi a livello centrale o per raccogliere ulteriori dati al fine di completare i profili personali. Ed è quanto abbiamo fatto per la Provincia di Pesaro.

La materia non è facilmente riducibile a dati quantitativi o statistici, specie quando presenta un carteggio con lettere, appelli e suppliche. E’ davvero singolare scoprire una fitta rete di relazioni epistolari intrattenute dagli internati tra un comune e l’altro o dai comuni ai campi di concentramento, oppure dall’Italia all’Europa, nonostante l’occhiuta vigilanza del censore. Evidentemente c’era sempre la speranza di poter sfuggire al controllo grazie a una rete di umana solidarietà.
Talora nella documentazione conservata negli archivi e accessibile al pubblico sono presenti notizie sulle condizioni di salute e sulle relazioni sentimentali degli internati e delle internate, materia alla quale abbiamo fatto riferimento con le dovute cautele, mentre è stato valorizzato il dato della professione, qualora indicato, interessante sul piano sociologico.

E’ nostro intento far sì che i risultati dello studio intrapreso costituiscano una risorsa per i famigliari dei perseguitati, i quali molto spesso, come abbiamo verificato, dispongono di informazioni sommarie sulle vicende occorse ai loro congiunti durante il fascismo. In secondo luogo ci auguriamo di fornire contributi utili ad altri ricercatori impegnati sullo stesso terreno.

Le biografie personali non hanno tutte lo stesso risalto per mancanza di informazioni o di contatti che si spera possano soccorrerci in futuro. In ogni caso, l’ampiezza che abbiamo riservato ad alcuni profili ha proprio lo scopo di mostrare come dietro a un nome si celi una storia di vita preziosa e irripetibile. A tal fine abbiamo ricercato ove possibile nelle testimonianze orali degli anziani o dei discendenti la conferma o la smentita di dati e giudizi, spesso sferzanti, reperiti nella documentazione scritta, in genere prodotta dai funzionari del Regime.

E’ il caso di dire che  i dati sono suscettibili di rettifiche e integrazioni sulla base di nuove acquisizioni che possono venire da pubblicazioni, testimonianze, verifiche e ulteriori ricerche.