Scheda

Levi Ulderico (Tito)



Famigliari compresenti: moglie
Coniugato/a con: Francesca Lodigiani
In Italia a: Milano
Percorso di internamento: Tavoleto (PS) dal 15/9/'40 all'11/3/'42; Urbania (PS) dal 12/3/'42 fino a giugno '43; Saltara (PS) dal 17/6 fino al 26/7/'43, data della revoca. Trasferitosi a Cartoceto (PS), viene arrestato il 7/12/'43 e incarcerato a Fano (PS) e poi a Pesaro fino ad aprile '44.
Ultima località o campo rinvenuti: Saltara (PS)
Deportato: no
Ucciso in Italia: no
Dopo la fuga e/o la liberazione a: Cartoceto (PS)
Fonti: ASP; A1; ASCU; ASCU2; TBS; CampiF; Car.
Presente fasc. in ASP:
Profilo biografico:

Vedovo risposato, era "primo archivista" presso l'Intendenza di finanza di Milano dove viveva. La sua origine è da far risalire a Correggio (RE) da una famiglia ben nota in quanto proprietaria delle omonime manifatture tessili specializzate nel ricamo e nella confezione di abiti. Se il padre era stato fondatore del fascio locale, due dei sette fratelli di Ulderico - Erio e Arnaldo - si fanno ancora ricordare per il loro antifascismo. Altri membri della famiglia, oltre a Ulderico, si trasferiscono a Milano, dove quest'ultimo viene arrestato. 

Così sentenzia il prefetto del capoluogo lombardo nell'agosto '40 sulla base di denuncia: "Ebreo, manifesta sentimenti antifascisti e disfattisti". Per di più, Levi osava affermare che Italia e Germania facevano opera incivile a perseguitare gli ebrei. Per il resto aveva alle spalle quarant'anni di “ottimo servizio statale", tanto che era stato nominato cavaliere.

Viene destinato alla Provincia di Pesaro e si muoverà sempre all'interno del territorio. A Tavoleto, dove viene internato nel settembre '40, il suo nome è associato a quello di Cipri Rocco e di Guido De Benedetti, presenti contemporaneamente. Con il secondo si rende responsabile di un'infrazione al regolamento segnalata dai carabinieri locali il 3 novembre '40. Quel giorno i due internati, “pur avendo risposto ai regolari tre appelli della giornata, si sono recati arbitrariamente nel comune di Montefiore Conca (Forlì).” Per questo episodio vengono sottoposti entrambi a diffida. Il piccolo centro oggetto dell'infrazione, ubicato non molto lontano da Tavoleto, è ben noto agli ebrei professanti per l’antica e fiorente comunità ebraica, oltre che per figure di rilievo come Moses Montefiore, ma non possiamo dire che sia stata questa la ragione che ha indotto i due cotteligionari a contravvenire così platealmente alle regole. 

Levi chiede di poter visitare il figlio Lelio a Voghera (il documento in Archivio di Stato è posto erroneamente nel fascicolo di Levi Giuseppe ) e dal figlio riceve modeste somme di denaro. Piccoli aiuti gli arrivano anche dalla società di Milano che probabilmente riforniva di stampati e cancelleria il suo ufficio, la "Fabbrica italiana carte".

Dalla prima sede di internamento viene allontanato dopo circa sei mesi per intervento del Partito fascista perché giudicato troppo in amicizia con gli abitanti del luogo. Gli viene assegnata Urbania e benchè sia sussidiato non gli sono corrisposti i mezzi di viaggio. Giunge a destinazione nel marzo del '42.  Dalla trasmissione del suo incartamento al nuovo comune sappiamo che, oltre al libretto di pensione, aveva con sé vari decreti: la nomina a Cavaliere, avanzamenti di carriera e documenti militari fra cui una croce di anzianità. 

Nell'agosto '42 il Partito fascista si occupa nuovamente di lui per segnalare alle autorità locali di Urbania che l'internato ebreo, il quale si trova "a pensione presso l'osteria Silvestri Gino, fa continuamente discorsi non adatti al momento attuale e si lamenta sempre per le restrizioni annonarie". Il partito chiede pertanto il suo allontanamento da Urbania.

Pochi giorni dopo, il podestà risponde al segretario politico assicurando di aver "redarguito e diffidato" il Levi e ha motivo "di sperare che ubbidirà". Non ritiene però sufficiente la motivazione addotta per un trasferimento, in quanto lo stesso è stato internato proprio per la sua tendenza "a parlare troppo", quindi anche per la regia questura non è accaduto niente di nuovo. Solo se proseguisse nel suo "mal vezzo" si prenderebbero provvedimenti.

A Urbania l'internato si incontra con il correligionario internato Vittorio Pugliese con il quale probabilmente stringe amicizia perché nell'ottobre seguente gli scrive indirizzando la lettera a Milano: non sa che l’altro, fuggito a giugno, nel frattempo si nascondeva in Romagna.

Nel '42 da Urbania Ulderico scrive frequentemente al figlio Lelio a Voghera e a Erio e Nino Levi a Milano. Contatta poi un altro ex internato appena rientrato a Trieste, il dottor Demetrio Di Demetrio, un personaggio molto conosciuto anche per il suo coinvogimento nelle vicende del comune di internamento.

Forse le notizie che giungono dal Nord non sono rassicuranti perchè quando all’avvento del Governo Badoglio nel luglio ’43 Levi ottiene la revoca - nel frattempo era stato trasferito a Saltara - chiede di non tornare a Milano e si fa autorizzare a rimanere dov'è. Per questa ragione l'ordine d'arresto di Buffarini Guidi lo coglie nel pesarese, in località Cartoceto. Qui il 7 dicembre '43 viene arrestato e di seguito incarcerato, prima a Fano, poi a Pesaro. Resta recluso fino al 21 aprile '44 quando è giudicato non idoneo al campo di concentramento per ragioni di salute. Scarcerato, è inviato nuovamente a Cartoceto. Nel febbraio ’45 è ancora presente nel comune.

Lo troviamo dopo la fine della guerra (ottobre '45) a interessarsi di una famiglia di origine mantovana, forse parenti, presso il Ministero degli Affari Esteri il quale a sua volta si rivolge alla Croce Rossa a Roma e al Comitato di ricerche ebraiche della capitale. Si tratta di Ines Levi, del marito Marcello Coen e del figlio Giuseppe, purtroppo tutti e tre arrestati a Modena, passati per Fossoli e scomparsi ad Auschwitz.