Scheda

Werczler Lazzaro



Didascalia:

Dalla scheda segnaletica della Questura di Pesaro del dicembre '41.

Famigliari compresenti: /
Coniugato/a con: Walter Margherita
In Italia a: Fiume (ora Croazia)
In Italia da: Ungheria
Percorso di internamento: C. di c. di Notaresco (TE) dal 19 luglio '40 ad aprile '41; Abano Terme (PD) per cure dal 20 aprile all’8 dicembre '41; Urbania (PS) dal 10 dicembre '41 al 4 dicembre '43 quando fugge.
Ultima località o campo rinvenuti: Urbania (PS)
Deportato:
Ucciso in Italia: no
Dopo la fuga e/o la liberazione a: /
Fonti:

ASP; A1; A2; ASFiume; ASCU; ASCU2; ASCU3; FF; Memo; VER; MaPez; LDM; YV; MW; JewsG; Bad.


Presente fasc. in ASP:
Profilo biografico:

Originario dell'Ungheria, dimorava a Fiume dal 1898 e conosceva perfettamente la lingua italiana. Nel giugno '40 il consolato d'Ungheria certifica che Lazzaro e i due figli, Alessandro e Guglielmo, hanno cessato di essere cittadini ungheresi dal 1° settembre '39 in base alla legge n.XIII del '39, par. 2. Da quel momento sono considerati apolidi. 

A dire il vero, poiché gli ebrei fiumani erano diventati italiani dopo che Fiume era stata annessa all'Italia (16 marzo 1924), divennero tutti apolidi, in quanto le norme razziali stabilivano che la cittadinanza italiana era revocata a tutti coloro che non l'avessero ricevuta prima del 1919.

Lazzaro Werczler, coniugato con Margherita Walter, era commerciante all'ingrosso di uova e pollame con uno stand ai mercati generali di Fiume. Attraverso tale banco riforniva i clienti sia al minuto che all’ingrosso, compresi gli alberghi e i ristoranti della riviera. La nipote Maddalena  ricorda che aveva l’auto privata, cosa non comune a quei tempi.

Su disposizione ministeriale del 7 luglio '40 viene posto in internamento, con traduzione nel campo di concentramento di Notaresco in Provincia di Teramo, avvenuta il 19 luglio. Lazzaro vi resta ufficialmente fino ad aprile '41, ma il mese precedente è nella sua città, con ogni probabilità in licenza per problemi di salute. Infatti il 7 marzo consegna alla Questura di Fiume la radio, che non gli è consentito tenere in casa. Il 24 agosto '43 quando il clima politico in Italia sembrerà mutare, l'apparecchio sarà restituito al figlio Alessandro su richiesta dello stesso.

Tornando al '41, una volta lasciata Fiume, Lazzaro usufruisce di circa sette mesi di cure ad Abano Terme e quando la restrizione riprende in Provincia di Pesaro, “rinomata per il suo clima mite”, ne è soddisfatto.

In realtà incappa in un inverno molto freddo e lamenta che l’ambiente in cui ha trovato alloggio a Urbania non è riscaldato. Forse per questo, appena vi giunge - siamo nel dicembre '41- chiede di poter frequentare il dopolavoro cittadino. Nel girare l'istanza al questore, il podestà sembra appoggiare l'internato; fa notare che "la stagione non consente di fare delle passeggiate, per cui è costretto a stare sempre in casa". Argomento poco convincente per il superiore, il quale coglie l’occasione per precisare erga omnes che tale libertà non è consentita agli internati. Stagione permettendo, possono circolare “nel perimetro, massimo 800 metri fuori dell’abitato”, come si legge nella diffida del podestà. 

Da nota della Questura di Fiume del 4 febbraio ’42 risulta che l'azienda Werczler avesse buon reddito, ma poiché la famiglia non possedeva beni immobili né “capitali a risparmio”, all’internato viene riconosciuto il diritto al sussidio statale, tenuto conto anche della sua salute cagionevole. 

Inizialmente egli vive presso l'albergo Iris, poi da privati, e la famiglia ospitante, quella di Giuseppe Campana residente in una via centrale - Vittorio Emanuele II - avrà un ruolo importante nella sua storia. 

Nuovi arrivi - Paunzen Rosa (Berta) e Nagler Max che giungono a Urbania nella primavera del '42 - portano notizie e saluti da parte di conoscenti e amici internati altrove, come Guido Macchioro di Fiume e Vamos Albert, un russo passato per la stessa città, ora a Cermignano in Provincia di Teramo (Vamos nel novembre '43 sarà catturato nel territorio di Como e deportato ad Auschwitz).

Nel dicembre '42 Werczler rinnova il permesso di soggiorno come apolide di origine ungherese. 

Nei due anni in cui resta nel comune marchigiano, intrattiene una fitta corrispondenza con la sua città, Fiume. In certi periodi scrive quasi quotidianamente alla moglie Margherita  e spesso comunica con il figlio Alessandro. Nel febbraio '42 in risposta a un'istanza di visita della consorte Margherita, il questore fa notare quanto prevede la normativa: il permesso di permanenza presso l'internato non può superare gli otto giorni; per periodi superiori occorre rivolgersi al Ministero dell'Interno. 

Lei viene a trovarlo nell'estate di quell'anno e con la ministeriale del 9 settembre '42 è autorizzata a convivere con il marito per due mesi. Forse c'è un prolungamento perché nel marzo '43 il questore chiede se Walter Margherita sia ancora a Urbania. Nel maggio seguente l'internato viene autorizzato a recarsi a Pesaro a proprie spese per incontrarsi con la moglie. 

A sua volta, per ragioni di salute Lazzaro usufruisce di brevi licenze nella sua città alla fine del '41 e in aprile '42. In marzo '43, con ogni probabilità durante un'ulteriore licenza a Fiume, invia una piccola somma a Ludwig Stiassny, internato come lui a Urbania, mentre il mese seguente è Lazzaro a ricevere nel comune di internamento una cifra rilevante da un americano, Martin Fred Foster, già internato a Urbania e ora a Roma, con ogni probabilità in licenza perché poi risulta ancora internato a Cagli. E poiché ogni somma viene registrata, Lazzaro usufruisce del sussidio in modo discontinuo.

Ma stava per giungere il momento più drammatico: l'ordine di arresto generalizzato degli ebrei. Dai documenti scritti risulta che il 4 dicembre '43 Werczler si renda irreperibile. E’ ricercato assieme ai correligionari internati Ludwig Stiassny, Bassia Zac, Greta Preisch e Paolo Schwarz, fuggiti al pari di lui. Le forze dell'ordine vengono sguinzagliate. 

“Recentemente tratto in arresto dalla polizia germanica per motivi non conosciuti”, scriverà la questura di Fiume a quella di Pesaro il 16 febbraio ’44 per fermare il rintraccio.

Prima di quel momento era accaduto qualcosa che merita di essere raccontato. A dar vita alle  convulse ore della latitanza e insieme a illuminare la vicenda umana di Lazzaro Werczler all’interno del paese marchigiano, ci giunge provvidenziale il racconto di don Sergio Campana, presso la cui famiglia lo slavo era alloggiato.

Il testimone racconta che i suoi genitori, come altri cittadini di Urbania, erano stati obbligati a prendere in casa qualche internato. Ricorda Lazzaro come uomo onesto, educato, molto religioso: rispettava il riposo del sabato cucinando il giorno precedente, pregava spesso a voce alta e leggeva la Bibbia in ebraico, così come aveva insegnato ai suoi figli. Un ricordo particolare richiama l'origine ungherese dell'uomo, il quale nel cortile dei padroni di casa "ingrassava" un'oca.

Di notte lo assalivano incubi terribili che lo facevano urlare dal terrore: sognava i tedeschi, quelli che a Fiume stavano tormentando anche le sue nipoti, costrette a pulire le strade e i cessi pubblici solo perché ebree, e insultate mentre lo facevano. La moglie, che veniva a trovarlo di tanto intanto, probabilmente gli raccontava cosa stava succedendo là.

Nell’autunno del ’43 - “all’alba”, dice don Sergio - gli ebrei di Urbania vennero prelevati e portati nella locale caserma dei carabinieri,  tutti ammassati  "nel salone" di via San Francesco. Lazzaro, prima di andarsene con le cose che si possono raccogliere in una valigia, gli lascia un anello d’oro con brillante da rendere ai suoi o da conservare come ricordo nel caso non fosse tornato. 

In realtà il progioniero riesce subito a fuggire. Gli racconterà che un carabiniere, pur avendolo visto scendere le scale, l’aveva lasciato andare. In strada Lazzaro trova una bicicletta e raggiunge la  località Sassorotto di  Apecchio, a circa 18/20 chilometri di distanza, dove sa di trovare il resto della famiglia Campana.

Per timore dei bombardamenti, infatti, i genitori del testimone - don Sergio - erano rimasti fuori città fin dalle ferie estive. Avevano alloggio nella casa di un conoscente per il quale il signor Giuseppe, padre di Sergio, lavorava come muratore e uomo di fiducia. Con loro c’era anche il fratello di Sergio, Walter, nato nel ’25, che si nascondeva in quella stessa casa essendo renitente alla leva. Sergio invece studiava in seminario, anche se consumava i pasti e dormiva a casa propria, a Urbania.

I suoi accolgono il fuggitivo. Il signor Campana gli presta gli indumenti necessari, visto che Lazzaro con sé non ha assolutamente nulla. Sergio viene a conoscenza dell'accaduto e lo raggiunge nella casa di Sassorotto, un'abitazione senza persiane, per cui il ricercato se ne stava rannicchiato lontano dalle finestre, nel timore di essere visto. Dopo un po' valutano che la casa è troppo esposta, anche perché si trova proprio sulla strada nazionale, fra l’altro molto trafficata. Così conducono Lazzaro in un luogo più sicuro, la sperduta casa colonica di un amico, il signor Romanini, in località Rossara sotto il monte Nerone, a circa un'ora e mezzo di strada, a piedi. Anche Walter Campana vi si trasferisce.

A tale proposito inseriamo una nota. Come scrive nel suo diario l’internato Leopold Verbovseklui stesso nel gennaio ’44,  con altri partigiani fra i quali due ebrei - “il tedesco Max” e l'anconetano Mario  - si rifugiarono presso il podere Rossara in località Sassorotto. Dunque si trattava di un rifugio sicuro per antifascisti ed ebrei. Max è stato identificato per il giovane Max Federmann che, prima di arruolarsi come partigiano nelle Marche, era vissuto a Villa Emma di Nonantola (MO) con numerosi altri ragazzi ebrei.

Sergio Campana racconta che in quel frangente scrisse alla famiglia di Lazzaro Werczler a Fiume cercando di far capire, pur senza esprimersi esplicitamente, che il loro congiunto era salvo. Ricorda le parole esatte con le quali li informava: “Stiamo tutti bene”, frase sottolineata. Lazzaro in realtà non stava bene ma non era possibile raggiungere un medico.

Ed ecco che uno dei suoi due figli, un giovane biondo come ricorda don Sergio, arriva da Fiume su una camionetta tedesca, di quelle aperte, assieme a un milite germanico. Il giovane Werczler parla perfettamente entrambe le lingue e dice che è venuto a prelevare il padre.

La lettera dunque era stata interpretata secondo le intenzioni di chi l'aveva scritta. Sergio però si era ben guardato dal dire dove fosse nascosto il ricercato, ritiene di aver dato solo l'indicazione di Urbania. Il figlio di Lazzaro dunque era andato in paese a cercare Giuseppe Campana e aveva saputo dove si trovava sfollato con la famiglia.

Sergio insiste perché Lazzaro resti nella casa di campagna, dove si può considerare al sicuro. Fa presente poi di aver ottenuto con l’aiuto dell’impiegata dello stato civile di Urbania, Maria Rigucci, una carta di identità falsa, italiana, per l'ebreo ungherese. Era stato lo stesso Sergio a comporla per poi siglarla con un timbro pressoché illeggibile. Il giovane Werczler comunque assicura che ha con sé il “benestare del prefetto” (di Fiume o di Trieste), il quale è loro amico e dice che se ci sarà qualche pericolo li avviserà per tempo.

A tale proposito, il testimone don Sergio Campana ricorda quanto gli raccontava Lazzaro: a Fiume abitavano vicino alla costa e tenevano in acqua una barchetta, mentre in casa le loro cose erano sempre pronte, perciò all'occorrenza sarebbero fuggiti per mare.

Controllando la cartina della città, si vede in effetti come la via Mario Angheben (ora Zagrebacka Ulica) sia posta in una piccola penisola tra due rive e prossima al Canale di Fiume. 

Dunque, Lazzaro parte con il figlio. La partenza avviene in gran fretta, forse in meno di un'ora. Prima che se ne vadano, Sergio restituisce a Lazzaro l’anello d’oro. Il momento della partenza è collocabile secondo il testimone nel periodo di Natale/epifania (fine 1943/inizio 1944), in sostanza durante le vacanze, altrimenti Sergio non si sarebbe trovato a Sassorotto bensì in Urbania dove era tenuto a presentarsi in seminario tutti i giorni.

Dopo il disastroso bombardamento su Urbania del 23 gennaio ’44, Sergio Campana scrive nuovamente a casa Werczler. Racconta della tragedia che si è abbattuta sulla popolazione e cita i nomi delle persone morte sotto le macerie e conosciute dall'ospite. La lettera viene respinta e ritorna segnata e chiosata con il pennarello. Sergio allora ne scrive un’altra più breve e questa ritorna indietro con la nota: “Non esiste”.

Il testimone ricorda che in paese, presso il barbiere Frattini, viveva una coppia di ebrei, marito e moglie, e riteneva che la signora fosse la sorella di Lazzaro, ma riflettendo si ricrede in quanto la donna non veniva mai a casa loro a trovarlo. Anche questa donna viene arrestata, ma si libera sborsando denaro. Resta a Urbania con il marito fin dopo la guerra ed è lei stessa a dirgli che nella stazione di Trieste fu trovato in terra un biglietto con su scritto: “Siamo destinati a destinazione ignota. Famiglia Werczler”.

La coppia ricordata da don Sergio può essere identificata con i coniugi Rosa (Berta) Paunzen e Max Nagler, oppure con i coniugi Carlotta (Lotte) Weigler e Giuseppe Szantò

Per anni e anni don Sergio ha immaginato senza conoscerla la fine della famiglia che si era incrociata con la sua in un momento drammatico della loro vita e della storia. Dentro di sé era convinto che fossero finiti tutti in un forno crematorio, "altrimenti", dice, "sarebbero venuti a trovarci". A casa sua dell'amico Lazzaro erano rimasti alcuni oggetti personali, fra cui un macinino da caffè smontabile e un piumino d'oca di fine fattura a copertura del letto, un capo d'arredamento che in Italia non si conosceva. Inoltre Lazzaro teneva con sé una cagnolina bianca, Lia, che resterà alla famiglia Campana fino al termine dei suoi giorni.

Nell'intervista rilasciata nel 1998 per la Shoah Foundation Institute, Maddalena (Dussi) Werczler, figlia di Eugenio Giacobbe, fratello di Lazzaro, riferisce che suo padre aveva tre fratelli. Oltre a Lazzaro c’erano Ernesta e Davide. La zia Ernesta era nubile e lo zio Davide celibe. Quest'ultimo, a cui mancava una gamba, fu internato in campo di concentramento con Lazzaro per un breve periodo (si veda il gruppo di Notaresco nella sezione Documenti e Immagini). Maddalena racconta che lo zio Davide poi pagò qualcuno per farsi rimandare a Fiume. Lui e la sorella Ernesta non vollero lasciare la loro casa.

Nell'intervista citata, Maddalena aggiunge che solo suo padre Eugenio Giacobbe sollecitato dalla moglie Berta Kornhauser, dopo l’otto settembre ’43 aveva preso la decisione di fuggire da Fiume con le due figlie. Oltre a Maddalena, nata nel '22, c'era Rita, del '34. La famiglia si rifugia a Firenze ma qualche mese dopo lascia la città e fugge in Svizzera. In JewishGen l'espatrio è collocato in data 24 marzo '44.

Per i congiunti rimasti a Fiume, in breve tempo si consuma la tragedia. Nel Libro della memoria leggiamo che Lazzaro, la moglie Margherita, i figli Guglielmo (Villi) e Alessandro (Sandro), e i fratelli di Lazzaro, Ernesta e Davide vengono catturati dai nazisti nel febbraio '44. Tutti detenuti a San Sabba (TS), sono deportati da Trieste ad Auschwitz. Non viene citato il numero del convoglio. Nessuno di loro torna.

Martino Godelli - già Goldstein - residente a Fiume, deportato e tornato dal lager (visse a lungo, fino al 5 novembre 2014), ricorda il viaggio in treno iniziato a Trieste il 28 gennaio '44 Allora aveva 22 anni essendo nato nel 1922. Si trattava di un breve convoglio di soli due vagoni diretto ad Auschwitz. Uno dei vagoni era occupato dai vecchi ebrei catturati nella casa di riposo triestina "Gentilomo", l'altro occupato da lui stesso, da donne slave e dalla famiglia Werczler. In base alla sua ricostruzione, l'arresto da parte nazista dei sei componenti la famiglia Werczler non può essere avvenuto in febbraio ma a gennaio. Il dato, come diremo dopo, trova un'ulteriore conferma.

Degli occupanti quel treno, nel Libro della memoria si ricordano 61 persone, di cui due che si salvarono, ma non si nominano i Werczler. Quanto alla morte dei sei congiunti, questa è collocata in date e luoghi ignoti, salvo che per Lazzaro. Di lui si scrive che dopo Auschwitz raggiunge Natzweiler, un campo della morte nazista situato in Alsazia in territorio francese, dove la sua vita si conclude dopo il 31 ottobre '44.

In realtà si possono trovare notizie precise presso Arolsen Archives. Nel fascicolo a nome di Lazzaro Werczler, identificato per certo, si trova il certificato medico che ne attesta la morte per debolezza cardiaca il 21 novembre 1944 presso l'ospedale del lager di Stutthof. Il capo del crematorio scrive che il suo corpo viene cremato il giorno seguente. Sono conservate anche schede precedenti firmate dal detenuto "jude" Werczler con notizie anagrafiche, caratteri somatici, espletamento del servizio militare - che avvenne a Budapest - professione (macellaio), eventuali pendenze penali (nessuna), domicilio a Fiume, conoscenza delle lingue. Lazzaro, definito apolide, parla tedesco, ungherese, italiano e croato. 

Importante anche il richiamo all'arresto, che avvenne a Fiume il 24 gennaio 1944. Il detenuto  giunge a Stutthof il 28 ottobre '44, proveniente dal lager di Auschwitz. Nella lista dei morti è il n. 737 del novembre '44.