Scheda

Camerino Gino



Didascalia:

Dalla scheda segnaletica della Questura di Pesaro dell’aprile ’41.

Famigliari compresenti: /
Coniugato/a con: coniugato
In Italia a: Milano
Percorso di internamento: Piandimeleto (PS) dal 5 aprile al 19 maggio '41; San Leo (PS) dal 20/5/'41 al 2/4/'42; Apecchio (PS) dal 3/4 al 16/12/'42 (comprensivo di lunga licenza a Milano da aprile a settembre); Sant'Agata Feltria (PS) dal 17/12/'42 al 16/6/'43 quando è incarcerato a Novafeltria (PS); Tremiti (FG) dal 6/7 al 7/9/'43, data in cui viene prosciolto.
Ultima località o campo rinvenuti: Isole Tremiti (FG)
Deportato: no
Ucciso in Italia: no
Dopo la fuga e/o la liberazione a: /
Fonti: ASP; Car; ASCSL; ASCA; ASCSAF;TBon; A3-b.4; A6- b.25. AGPN; LM/AM; M/M; LDM; FGian; Brog.
Presente fasc. in ASP:
Profilo biografico:

Nativo di Venezia, nel ’33 Gino Camerino trasferisce la residenza a Milano. In seguito prende domicilio a Roma ed è qui che  nella primavera del ’41 scatta nei suoi confronti la proposta di internamento dopo un periodo di carcere. La motivazione della polizia è di non essere rientrato nella sede di residenza come da diffida che gli era stata comminata, inoltre lo si sospetta di voler espatriare clandestinamente in Svizzera.

Viene fatto pedinare e dal rapporto emergono rilievi di ogni genere. Si sottolineano una marcata ostilità verso i militari tedeschi, la sfiducia nella vittoria italiana e un "acido livore antifascista".

Le prime quattro sedi di internamento sono tutte in Provincia di Pesaro, a partire da Piandimeleto. Di qui è inviato a San Leo dove condivide la condizione di internato con Leardo Saralvo e Giuseppe Levi, con i quali compare in uno scatto fotografico. Durante l’anno di permanenza, Gino entra in dimestichezza con il parroco, don Cupi, tanto da essere invitato al pranzo per il suo onomastico, fatto che suscita scandalo e scalpore. Nonostante la “fedeltà” politica del sacerdote, i carabinieri locali propongono il trasferimento "dell'ebreo internato".

Inviato ad Apecchio, in realtà nella seconda metà del ’42 Camerino gode di una lunga licenza a Milano, ufficialmente per ragioni di salute. La questura romana intanto si dichiara contraria al proscioglimento. Dopo il suo rientro, nel dicembre '42 la misura di polizia riprende con destinazione  Sant'Agata Feltria.

Qui a distanza di anni Camerino è ancora ricordato dai fratelli Bonci, i cui genitori gestivano una locanda nel centro del paese. L'ospite viveva da loro proprio sopra il bar. Il fratello maggiore, Francesco, gli portava i pasti in camera e lo trovava sempre intento nella lettura. La mattina l'internato scendeva in sala, leggeva il giornale e portava con sé l'enigmistica che esauriva in brevissimo tempo. Francesco lo ricorda anche giocare a biliardo nel loro locale. In pratica Gino stava sempre lì intorno perché non poteva fare nient’altro.

L'ottica delle forze dell'ordine è ben diversa. Il comportamento dell’internato è giudicato troppo disinvolto, la sua dimestichezza con la popolazione locale, eccessiva. Infastidisce particolarmente che a Sant’Agata Feltria egli “sia riuscito ad accattivarsi quasi l'unanime stima e simpatia della popolazione che lo chiama Professore". Si sospetta poi “che confabuli politicamente, poiché il Camerino è anche sovversivo”. In poche parole viene giudicato un elemento “veramente diabolico”.

Fra l’altro si ipotizza che nutra interessi commerciali, addirittura che tenti di acquistare poderi d’accordo con il segretario comunale che come lui è originario di Venezia. L'occasione per sanzionarlo è offerta dall’internato stesso: dopo una licenza a Pesaro per cure dentali, egli non rispetta il giorno di rientro. Per l'infrazione commessa viene incarcerato e destinato al trasferimento in colonia insulare. 

Il 6 luglio ’43 giunge a Tremiti in Provincia di Foggia. Qui  trova un medico ebreo che, pur essendo internato, sostituisce provvisoriamente il sanitario preposto. Dunque, il nostro si sottopone a controllo medico e ottiene dal dottor Giuseppe Pincherle una diagnosi catastrofica sul piano della salute. Quanto di meglio poteva aspettarsi. Nel giro di breve tempo viene prosciolto dall’internamento: è il 7 settembre ’43. 

Saggiamente l’ex internato non fa ritorno nella capitale come avrebbe dovuto e per mesi viene ricercato invano dalla polizia. A tale proposito, siamo giunti alla conclusione che si salvi trattenendosi nel Sud liberato. Appena il mese seguente - 16 ottobre ’43 - avrebbe vissuto dall’interno la tragedia degli ebrei di Roma.

Per completare il profilo biografico di Gino Camerino (che morirà a Roma nel 1957) si veda Con foglio di via, citato nelle fonti pubblicate.

La sua storia famigliare tuttavia ha un altro capitolo che prende le mosse dal padre.

Nel giugno ’43 la Questura di Pesaro chiede informazioni sul genitore dell’internato Gino Camerino che è ancora presente nella sua giurisdizione. La risposta della polizia milanese porta la data del 25 giugno ’43. Ne riportiamo qualche stralcio: “Camerino Ettore fu Felice e fu Calimani Allegra, nato a Venezia il 28/4/1870, antiquario, ebreo… risiede qui, solo, presso la pensione Brera…”, alloggio situato nella via omonima. “Non consta che abbia dato luogo a rilievi”. Si aggiunge che l’uomo si è ritirato definitivamente dal commercio “dopo le disposizioni razziali” e pertanto “vive dei risparmi fatti durante la sua lunga attività commerciale”. Ora però non è più in città. “Da più giorni” è partito per Firenze e non ha più fatto ritorno. Le indagini vengono dunque estese al capoluogo toscano per rintracciarlo.

Non ci è noto come sia vissuto l'anziano cittadino fino a novembre, ma è certo che a questa data, con l’ordine d’arresto generalizzato degli ebrei varato da Buffarini Guidi, ministro di Salò, Ettore Camerino abbia deciso di espatriare in Svizzera. Ha quasi 74 anni. La fuga non riesce né a lui né ai due compagni con i quali si è associato, Ugo Violante e Luigi Cerutti, non ebrei. Con loro il 3 dicembre ’43 viene fermato da militi italiani in località Lavena Ponte Tresa, proprio alla rete che segna il confine tra Italia e Svizzera. Si ipotizza che i fuggiaschi siano stati venduti a collaborazionisti fascisti. Tutti e tre vengono arrestati e portati in carcere a Varese. Nel verbale si sottolinea che Ettore Camerino ha in tasca degli assegni, denaro che doveva servirgli per vivere all’estero. Trasferito nel carcere di San Vittore a Milano, di qui il 30 gennaio ‘44 è condotto in stazione al binario 21 e caricato sul treno per Auschwitz dove viene ucciso all’arrivo.

Tali puntuali e circostanziate notizie sono apparse sulla stampa nel gennaio 2014 grazie alla ricerca di Franco Giannantoni il quale accompagnava Vera Vigevani in Jarach, nipote di Ettore Camerino, in un itinerario ideale sulle tracce del nonno. La signora era espatriata con la madre a Buenos Aires nel ’39, mentre il nonno Ettore, vedovo, non aveva voluto lasciare l’Italia. Si era limitato a trasferirsi da Venezia a Milano - nel ’42 - per essere più prossimo al confine. In quei mesi anche Gino - secondo figlio di Ettore -  si trovava a Milano dove cercava di prolungare in ogni modo la sua licenza dall'internamento. Forse quella è stata l’ultima volta in cui padre e figlio si sono incontrati. 

Vera Vigevani, giornalista, è nota anche per essere tra le fondatrici dell’associazione delle madri di “Plaza de Majo”, avendo perduto l’unica figlia, la diciottenne Franca Jarach, durante la dittatura di Videla in Argentina.