Scheda

Enriquez Alfredo Abramo



Didascalia:

Dalla scheda segnaletica della Questura di Pesaro del dicembre ‘41.

Famigliari compresenti: moglie convivente
Coniugato/a con: Wodvorka Mia Hermine
In Italia a: Livorno
Percorso di internamento:

C. di c. di Urbisaglia (MC) dal 18/1/'41 al 25/4/'41; Camerino (MC) dal 25/4/'41; San Severino Marche (MC) presente a luglio e nov. '41; Fermignano (PS) dal 1° dicembre '41 all'8 marzo '42; San Severino Marche (MC) dal 9 marzo alla metà di aprile '42 quando diventa effettiva la revoca, con diffida a tornare a Livorno.
Ultima località o campo rinvenuti: San Severino Marche (MC)
Deportato: no
Ucciso in Italia: no
Dopo la fuga e/o la liberazione a: Firenze
Fonti: ASP; ASCFER; ASMAC; Car; Urb; GBis; APz.
Presente fasc. in ASP:
Profilo biografico:

Commerciante in tappeti orientali, era vissuto a lungo all'estero, a Parigi e a Vienna.

Tornò in Italia la prima volta nel 1895 per assolvere agli obblighi di leva e non perdere la cittadinanza, scelta che lo accomuna ad Alberto VeneziaE' il Prefetto di Livorno, Zannelli, a raccogliere le notizie pregresse sulla vita di Enriquez nell'interrogatorio cui lo sottopone dopo averlo arrestato nel dicembre del 1940. Alfredo era vissuto a Vienna anche dopo l'occupazione da parte di Hitler e nonostante fosse ebreo aveva potuto continuare l'attività senza incorrere in alcuna condanna. Ammetteva però che la seconda moglie, Mia Hermine, era stata fermata dalla polizia tedesca perché "si era interessata presso il consolato inglese di Vienna in favore di ebrei che cercavano di emigrare in Inghilterra".

L'arrestato è divorziato dalla prima moglie Frieda Lewit e ha sposato Mia con rito turco-ebraico, ed è venuto in Italia nel marzo '40 allo scopo di regolarizzare il matrimonio per la legge italiana, visto che lei soggiorna spesso a San Remo per cura.

Il capo della provincia lo segnala dunque al Ministero dell'Interno come ebreo nato e sempre vissuto all'estero, che non conosce la lingua italiana e "nessun attaccamento può avere verso la patria". Inoltre, "quale appartenente alla razza ebraica egli potrebbe prestarsi ad attività nociva agli interessi nazionali". Lo propone dunque per l'internamento in altra provincia e nel frattempo lo trattiene in carcere. "Ebreo, pericoloso nelle circostanze attuali”, dirà di lui in un documento successivo.

Enriquez viene internato in assenza di qualunque addebito da parte dei Consolati e nonostante le cattive condizioni di salute. Assegnato nel gennaio '41 al campo di concentramento di Urbisaglia (MC), viene classificato come non abbiente. Il direttore del campo, che è pure il commissario di P.S, nel marzo seguente appoggia la richiesta dell'internato di una revoca, data la tarda età, 68 anni, e i problemi di salute; in subordine caldeggia la richiesta di una licenza per andare a trovare la moglie a San Remo e definire le questioni patrimoniali della famiglia.

Ben presto avviene il trasferimento dal campo ad un comune "libero". Enriquez in aprile è internato a Camerino (MC) e subito dopo a San Severino Marche (MC) dove la moglie Mia Erminia Wodvorka, nata a Vienna nel 1891, è autorizzata a raggiungerlo. Un permesso di dieci giorni per ragioni di famiglia risulta accordato all'internato in luglio. Nell'occasione il podestà di San Severino chiede al questore - per lui come per gli internati Bein Antonio e Hettener Salomon Manfred - se debba corrispondere il sussidio anche per il periodo della licenza, dovuta per tutti e tre allo stesso motivo.

Gli Enriquez entrano in Provincia di Pesaro nel dicembre del '41. Destinati a Fermignano, vi restano per oltre tre mesi. Dal fascicolo della questura conservato presso l’Archivio di Stato, sappiamo che la moglie tiene fitti contatti epistolari. Si tratta di un numero rilevante di lettere in arrivo e in partenza, alcune delle quali risultano essere copie tradotte dal censore in lingua italiana, mentre altre sembrano originali sequestrati. In prevalenza è Erminia a scrivere, talora a macchina: lei stessa afferma di averne venduta una, barattandola con altra più scadente per guadagnare qualcosa e integrare gli introiti derivanti dalle lezioni di tedesco che impartisce a italiani. 

A Fermignano vivono in albergo - dove hanno avuto l'opportunità di ottenere due stanze al costo di una - e dove lei può utilizzare la cucina dell’albergo stesso, il tutto per 150 lire al mese. Il tema del cibo e del costo della vita torna costantemente. Mia chiede a un’amica lontana di mandarle della paprika, alleva un’oca in campagna in previsione del pranzo di Natale e scopre che la cipria è fatta con polvere di mais.

Nelle lettere si colgono frequenti auspici che la guerra finisca presto e così pure i tempi bui. Spesso il linguaggio è cifrato e dei nomi c’è solo l’iniziale. A una famiglia amica chiede: come farete ora senza l’America? Altre volte i nomi sono espliciti come quello dei Wechsler, ebrei internati a Muro Lucano (PZ) nel gennaio ’42, provenienti da Imperia. 

Per parte sua, Mia spera che suo marito sia mandato a Nizza anche perché a Fermignano la temperatura è scesa fino a meno 18 gradi. Il richiamo a periodi trascorsi sulla Costa Azzurra è frequente. Lei racconta inoltre come siano giunti a quella vita sacrificata. Fino a un anno prima erano a Vienna, poi suo marito venne fermato al confine, arrestato e internato. Adesso non ricevono più aiuti e mancano di mezzi. All’amica Erna Kronenberg che si trova a Forino (AV) scrive: “Oller (così chiama Alfredo) attende il momento di essere un uomo libero. Per il momento non desidera che morire ed io ho un gran dolore per lui. Invecchia rapidamente…”. 

Per farlo liberare, la moglie si attiva anche presso religiosi romani.

A Fermignano stabiliscono rapporti di amicizia con il segretario comunale e con la sua consorte, fatto disdicevole segnalato dai carabinieri, che comporta l’allontanamento degli Enriquez dal comune ai primi di marzo ’42. Alfredo è inviato di nuovo a San Severino, dove risulta il pagamento del sussidio per tutto il mese: lire otto al dì e 36,50 mensili per l'alloggio. La moglie non è menzionata nella lista degli internati sussidiati, che sono quindici.

Il ministero dell'Interno dispone la revoca dell’internamento che diviene effettiva in aprile '42, con divieto di fare ritorno a Livorno, zona militarmente importante. La richieste di Enriquez potersi stabilire a San Remo viene rifiutata anche perché la località rientra tra quelle di lusso vietate agli ebrei, come precisa la Questura di Imperia nel marzo '43, scrivendo al ministero. Dopo questa data l'ex internato e la moglie si stabiliscono a Firenze.

Dopo la fine della guerra da uno scambio di lettere tra Mia Wodworka e la famiglia di San Severino che aveva in consegna le sue cose personali, al fine di recuperarle, emerge il racconto del momento drammatico vissuto anche dagli italiani del posto. Troviamo poi la lettera della signora Zaira Pizzi, sorella di don Cesare, presso la quale gli Enriquez dimoravano nello stesso comune. Zaira in tono molto affettuoso fornisce notizie di sé e di altri internati dei quali Mia si è interessata. Si tratta dei Pollak, tornati in Cecoslovacchia, della signora Smierer (Schmierer) che ora vive a Roma con il cognato, “mentre il marito fu portato via dai tedeschi”. La signora afferma poi che nulla sa dei Bein e dei Vivas. 

Nel Libro della memoria troviamo che Schmierer Pinkas, nato nel 1898 a Sokal, Polonia, arrestato a San Severino da italiani nel novembre '43, fu deportato ad Auschwitz. Inoltre, leggiamo che l'ungherese Bein Antonio, nato a Pecs nel 1882, fu arrestato da italiani in territorio maceratese nel novembre '43 per trovare la morte ad Auschwitz; la moglie Berta ebbe analoga sorte.