Scheda

Gedalja Beniamino (Geza)



Didascalia:

  Dalla scheda segnaletica della Questura di Pesaro dell’agosto ‘42.

Famigliari compresenti: moglie
Coniugato/a con: Russo Stella
In Italia a: Castelnuovo di Cattaro (ora Montenegro)
In Italia da: Belgrado
Percorso di internamento: C. di c. di Kavaja (Albania) da 22 luglio al 24 ottobre '41; c. di c. di Ferramonti di Tarsia (CS) dal 27 ottobre '41 ad agosto '42. Macerata Feltria (PS) dal 23 agosto '42 al 2 dicembre '43. Fuga con la moglie il 3/12/'43. 
Ultima località o campo rinvenuti: Macerata Feltria (PS)
Deportato: no
Ucciso in Italia: no
Dopo la fuga e/o la liberazione a: Lecce (luglio '45)
Fonti:

ASP; A1; A2; EMF; ASCMF; TFerri; Hope.


Presente fasc. in ASP:
Profilo biografico:

Risulta essere un commerciante, benché un altro correligionario jugoslavo internato, Albert Alcalay, sotenesse che  prima della restrizione Gedalja lavorava in banca con suo padre Samuele a Belgrado.

L'inizio della storia è per noi l'arrresto a Castelnuovo di Cattaro dopo l'occupazione della Jugoslavia da parte italiana. Beniamino e la moglie Stella Russo il 22 luglio del '41 vengono fermati e internati nel campo di concentramento di Kavaja, Albania. Di qui approdano in quello di Ferramonti di Tarsia (CS) dove restano fino ad agosto '42.

Nel maggio '42, per far fronte ai debiti contratti nei mesi intercorsi dal momento dell'arresto, l'internato chiede al direttore del campo di Ferramonti la restituzione di una parte della somma che gli è stata requisita. La cifra totale ammonta a cinquantamila lire. A tal fine elenca le persone che nel frattempo gli hanno fatto credito, fra cui un cittadino di Fiume e un albanese e gli internati Moisiè Avram e il rabbino Abram Rafajlovic, identificato per la camerata che occupa nel campo, la n.11.

La coppia Gedalja giunge in Provincia di Pesaro nell'agosto del '42 e viene destinata a Macerata Feltria. La loro firma compare nel registro degli internati alla data del 31 gennaio '43 all’interno di un gruppo di 20 persone.

Nell’aprile seguente Beniamino chiede che il parente Melamed Mosa, di 65 anni, internato a Ferramonti di Tarsia e bisognoso di aiuto, possa raggiungerlo a Macerata Feltria. Nel maggio poi avanza richiesta di potersi recare presso Victor Lazarevic, internato a Pavullo (MO), per ritirare i propri indumenti. Non sappiamo perché e quando le masserizie fossero state depositate presso tale persona. Conosciamo invece l'esito dell'altra richiesta, che viene esaminata dalle autorità centrali e locali, come risulta nel fascicolo personale di Melamed in ASP. Alla fine il trasferimento non avviene in quanto la prefettura di Cosenza non ha ben chiara la composizione della famiglia Melamed.

Qualche mese dopo l'arrivo di Gedalja a Macerata Feltria, vi giungono anche gli Alcalay, con i quali il primo è in relazioni di amicizia sia per aver condiviso le precedenti esperienze persecutorie, sia perché a Belgrado, come si è detto, Beniamino lavorava con Samuele Alcalay. Geza - come lo chiama amichevolmente Albert Alcalay nel suo libro di memorie -  accoglie personalmente i due nuovi arrivati per condurli all’unico albergo del paese, il “Montefeltro”. 

Alcalay lo ricorda anche in un momento successivo, collocabile nella seconda metà del ’43, quando la paura comincia a farsi palpabile. A quella data Albert si trova a Pergola, sempre nel pesarese, e vorrebbe consigliarsi con l’amico Geza sul da farsi, ma la lettera che gli invia non ottiene risposta, ammesso che sia stata consegnata. Invece una sera - con ogni probabilità ai primi di dicembre ’43 - Albert incontra un altro internato, Miroslav Adler, che sta fuggendo dalla vicina Urbania con documenti falsi ottenuti proprio per interessamento di Gedalja. Quest'ultmo a sua volta si era messo in fuga con la moglie.

L'allontanamento da Macerata Feltria dei Gedalja - assieme ai coniugi Schuschny e a Leo Scharfberg - è segnalato il 3 dicembre ’43. Le dichiarazioni di Beniamino sull'aiuto ricevuto nel paese collimano con le testimonianze locali. Fu la famiglia di Iride Magi ad aiutare i due jugoslavi a fuggire a Rimini dove avevano della conoscenze, e a bruciare i loro documenti autentici affinché non cadessero in mano tedesca.

Nel '57 l’ex internato presenta al sindaco di Macerata Feltria la richiesta di attestazione dell'internamento subito negli anni del fascismo e conferma tali particolari del racconto.