Scheda

Braun (Braum) Elvira



Famigliari compresenti: figlia
Coniugato/a con: Alex Fredrik
In Italia a: Sanremo (IM)
In Italia da: /
Percorso di internamento: Mercogliano (AV), dal 2 agosto '40 fino al 5 gen. '41; licenza a San Remo fino a giugno; Servigliano (AP) dal 27 giugno '41 al 5 novembre; Sassocorvaro (PS) dal 5/11/'41 al 3/12/'43 quando è arrestata e incarcerata. Di nuovo internata nella stessa sede, il 18 maggio '44 fugge con la figlia ma è subito rintracciata. Internata a Urbania (PS) dal 18 maggio fino al 15 settembre '44.
Ultima località o campo rinvenuti: Pesaro
Deportato: no
Ucciso in Italia: no
Dopo la fuga e/o la liberazione a: Pesaro, poi Roma
Fonti:

A1; A2; ASP3, ebrei stranieri; ASCS; MSTo; ASCU; Bib.B: Bad.


Presente fasc. in ASP: no
Profilo biografico:

Presso l’Archivio di Stato di Pesaro su di lei non c’è fascicolo nel fondo specifico degli internati, ma il nome compare nel fondo “Pratiche relative alla campagna razzista” per la dichiarazione di soggiorno da parte degli ebrei stranieri internati, del marzo ’43.

Di nazionalità cecoslovacca, Elvira aveva domicilio a San Remo, con ogni probabilità per ragioni di salute della figlia Ilse Alex. Conosciamo il suo percorso di internamento prima di giungere in Provincia di Pesaro da una lettera a un medico scritta da Sassocorvaro, dove fu internata assieme alla figlia Ilse nel novembre '41.

Elvira si trovava a Mercogliano (AV) come "internata civile di guerra" quando nel sett./ott. '40 ebbe bisogno di un dentista il quale doveva farle un intervento complesso. Si recò presso di lui accompagnata dal maresciallo Pisa Luigi.

Dopo cure pagate di volta in volta, nel gennaio '41 Elvira era stata richiamata d'urgenza a San Remo perché Ilse stava molto male. Nonostante numerosi solleciti, il medico non le aveva mai risposto in merito al lavoro rimasto in sospeso e al valore che la paziente aveva lasciato presso di lui. Nel frattempo era stato deciso di trasferirla. Nel giugno '41 Elvira viene mandata a Servigliano (AP), poi nel novembre a Sassocorvaro.

Evidentemente i suoi appelli cadono nel vuoto se è vero che l'11 gennaio '43 la questione è ancora aperta: è a questa data infatti che da Sassocorvaro lei invia al sanitario la lettera raccomandata di cui sopra, in cui sottolinea come, da sussidiata, non abbia possibilità finanziarie e neppure possa farsi assistere da un legale per far fronte a quella che appare come una vera truffa. La rapina dei denti d'oro ai danni degli ebrei avrebbe fatto proseliti.

Quando nel novembre '41 giunge con Ilse in Provincia di Pesaro, i carabinieri la schedano come Elvira Maria Renata, casalinga, e chiamano la figlia "Ilse Leonore Therese". Della madre fanno accurata descrizione somatica, a partire dalla statura media fino al naso "alquanto concavo".

Nel marzo '42 c’è traccia di una sua trasferta con Ilse e altri ebrei da Sassocorvaro a Pesaro: con loro Giovanni Bondy, che viene trasferito a Mombaroccio (PS) e Samuele Viola gravemente ammalato. Lei sta per essere ricoverata in ospedale.

Resta nel comune pesarese per oltre due anni. Una testimone di Sassocorvaro, Maria Rosaria Torri, rammenta che Elvira e sua figlia, chiamate  in paese "le due viennesi", vissero per un periodo presso la famiglia Dominici; ricorda inoltre che Elvira dava lezioni di pianoforte a sua sorella Marina.

Il 3 dicembre '43 madre e figlia vengono arrestate assieme a Barer Chaia (Eva), portate  a Macerata Feltria (PS) e lì incarcerate. Una volta uscite dal carcere tornano in internamento a Sassocorvaro.

L’amica Chaia fugge nel marzo ’44, mentre di Elvira non si hanno più notizie fino a maggio ’44 quando, in una nota al questore, il podestà registra che nella notte del giorno 18 non sono rientrati alle loro abitazioni gli internati: Braun Evira (anni 46), la figlia Alex Ilse (anni 18), Mayer Edith (anni 24) e Uberto Uberti di anni 34 (su di lui si veda Grün Alessandro). Lo scrivente aggiunge poi: "Indumenti trovansi custoditi presso ciascuna abitazione, telegrafo e telefono interrotti da vari giorni.”

L'ultima osservazione può significare che la fuga sia avvenuta qualche giorno prima. Comunque ben presto le tre fuggiasche sono rintracciate  e internate a Urbania (PS), come si desume dai registri contabili del comune, dove Elvira, Ilse e la Meyer risultano sussidiate dal 1° maggio '44 - inclusi dunque i giorni precedenti all’allontanamento - fino al 15 settembre ’44.

In base ad alcune testimonianze, le tre ebree erano state aiutate a fuggire da un prete - don Corrado Leonardi - e dai partigiani dei dintorni di Sassocorvaro con l’obiettivo di raggiungere il monastero di S. Chiara di Urbania e mimetizzarsi tra le suore. In realtà a Urbania furono scoperte ma ciò non esclude che, da internate, vivessero presso le monache stesse, come si trova scritto in un appunto firmato “Il vescovo”, che indica il periodo di permanenza in convento dal 25 maggio al 14 settembre ’44.

Il 30 agosto '45, da Pesaro, Elvira chiede al sindaco di Sassocorvaro l'attestazione dell'internamento subito, necessaria per il rimpatrio. La stessa certificazione sarà rinnovata nel 1957.

Un incartamento a suo nome è conservato presso l’archivio della Croce Rossa di Bad Arolsen. Il questionario compilato anche per la figlia Ilse porta le date di nov. ’47 e genn. ’48. Entrambe si trovano ancora a Roma, campo di Cinecittà, presso il quale Ilse opera come infermiera. Sono entrambe apolidi, benchè Elvira in origine fosse cecoslovacca.  Era divorziata.

Nel ’38 vive a Vienna, poi nel ’39 entra in Italia – a San Remo – con Ilse che qui si ammala. Decidono di non tornare nell’Austria occupata dai nazisti. Dopo l’entrata in guerra dell’Italia, Elvira, come gli altri ebrei stranieri che si trovano a San Remo, è inviata in internamento e la figlia quattordicenne nel collegio religioso Santa Giovanna d’Arco. Poi nel ’41 madre e figlia vengono destinate alla provincia di Pesaro come internate, dove restano fino alla liberazione (settembre '44). Il 20 settembre raggiungono il campo di Cinecittà dove Elvira è assunta dall'UNRRA come impiegata, attività ancora in corso nel momento dell'intervista. Conosce le lingue tedesca, italiana, francese e inglese.

Per l’ingresso in Italia lei e la figlia avevano utilizzato un passaporto cecoslovacco della durata di 8 giorni, che permise di arrivare a San Remo, dopodiché in mancanza di ambasciata ceca, ottennero da quella tedesca un visto che nel ’42 venne revocato, pertanto rimasero anche senza permesso di soggiorno.