Scheda

Alcalay (Alkalay) Albert



Didascalia:

Dalla scheda segnaletica della Questura di Pesaro del dicembre ’42.

Famigliari compresenti: genitori e sorella
Coniugato/a con: celibe
In Italia a: /
In Italia da: Spalato, Jugoslavia
Percorso di internamento: C. di c. di Ferramonti di Tarsia (CS) dal 2 febbraio 1942 a dicembre '42; Macerata Feltria (PS) dal 19/12/1942 a febbraio 1943; Cagli (PS) per un breve periodo causa carenza di alloggi; Pergola (PS) dal 15 marzo al 2/12/1943, giorno della fuga. 
Ultima località o campo rinvenuti: Pergola (PS)
Deportato: no
Ucciso in Italia: no
Dopo la fuga e/o la liberazione a: Pergola, Roma, poi USA
Fonti:

ASP; ASCMF; A1; A2; Hope; Int.USA; Apz; APCe; Tferri; PMar, R. Fran; Bad; YAD; GENI.


Presente fasc. in ASP: no
Profilo biografico:

Era architetto e pittore e aveva domicilio a Belgrado. Non ha un suo fascicolo presso l’Archivio di Stato di Pesaro, pertanto le notizie sono desunte da quello del padre Samuel e da altre fonti.

Nella testimonianza rilasciata a Spartaco Capogreco, Albert ricorda che nel campo di concentramento di Ferramonti di Tarsia (CS) dove viene internato qualche tempo dopo i suoi familiari, divenne discepolo del pittore Michel Fingesten (Finkelstein), espressionista di valore già noto prima dell’internamento in Italia.

A sua volta il giovane Alcalay era già architetto e aveva frequentato l’Accademia, eppure considera determinante l’esperienza con il “maestro” nella baracca assegnata al pittore dal direttore del campo. Albert pagava le lezioni con vasetti di marmellata che riceveva dalla Croce Rossa. 

In una lettera scritta all’età di 85 anni afferma che decise allora di diventare pittore, attività che poi avrebbe portato avanti per tutta la vita. Quando sarà trasferito in Provincia di Pesaro chiederà il permesso di dipingere ottenendo l’autorizzazione dal questore ma, come leggiamo in un documento del luglio 1943, “limitatamente a persone o figure di animali, con esclusione assoluta di ritrarre vedute panoramiche, chiese e vie di Pergola ecc.”

Ironia della sorte, quei luoghi torneranno per tutta la vita nelle sue tele e non cesseranno mai di ispirarlo, seppure per realizzazioni astratte.

L’artista di Pergola Walter Valentini, che sarà ricordato per la partecipazione alla Resistenza nelle Marche, lo seguiva nelle sue peregrinazioni di pittore curioso e in un’occasione ricevette in dono da Alcalay un tubetto di bianco, segno premonitore di un cammino da percorrere. 

Dall’intervista citata e dal libro di memorie scritto da Albert con il titolo The persistence of hope, non emerge solo la sua vicenda umana ma vengono in primo piano gli eventi accaduti in Italia durante la guerra e il fascismo.

Pur essendo nato a Parigi, è cresciuto a Belgrado dove ha ricevuto una formazione classica e dove nel contempo, dai 13 ai 17 anni, ha praticato la pittura nello studio di Bora Baruch, artista e poi partigiano molto conosciuto. Nella primavera del 1941 Albert combatte contro le forze germaniche che occupano la Jugoslavia. Viene catturato in Macedonia e torturato. Quando tre mesi dopo riesce a tornare a Belgrado, i suoi famigliari non ci sono più. Egli allora, munito di un passaporto falso che si è “disegnato” da solo, si spinge verso la costa con un giovane amico, Shalom Hornik, assieme al quale intende espatriare.

Prima di imbarcarsi, ritrova fortunosamente i suoi congiunti - padre, madre e la sorella Buena - nel campo di concentramento di Kavaja in Albania e viene a sapere che, riparati a Dubrovnik, erano stati rastrellati dai fascisti per essere internati. Riesce a conoscere anche la successiva destinazione, che sarà Ferramonti di Tarsia in Calabria. 

Spacciandosi per italiano non ebreo, Albert evita di farsi internare. Raggiunge Spalato e di lì s’imbarca per l’Italia approdando ad Ancona. Il suo intento è quello di passare il confine per la Svizzera e raggiungere in qualche modo la Palestina, ed è singolare che durante la risalita della penisola lui e il suo giovane compagno di viaggio, Shalom Hornik, decidano di raggiungere Venezia per visitare la Biennale e poi Padova per ammirare gli affreschi di Giotto.

Dopo una serie di vicende, data l’impossibilità di attraversare la frontiera in quel momento, i due si separano e sarà per sempre. L’amico - da identificarsi con un giovane nato nel 1916 a Sarajevo - sarà una vittima della Shoah.

Le città del Nord sono piene di S.S. tedesche. Albert, a cui sono stati ritirati i documenti, sentendosi in pericolo decide di consegnarsi alla polizia. Questo avviene a Vicenza dove resta in carcere per oltre due mesi. Dal carcere riesce a mettersi in contatto con il padre che si trova nel campo di concentramento di Ferramonti di Tarsia e ottiene il ricongiungimento con la famiglia. Nel campo, come dirà anche nella lettera scritta a 85 anni, trova una comunità di ebrei dell’Europa centrale che conta intellettuali di ogni sorta. I reclusi combattono la fame, che nel 1942 comincia a farsi sentire fortemente per la scarsità di generi alimentari.

D’ora in poi Albert condividerà con i genitori e la sorella tutti gli spostamenti fino alla fuga del dicembre 1943 e ai successivi passi sull’Appennino marchigiano.

Prima di questo momento, Albert approda in Provincia di Pesaro e qui vive incontri che lo segnano profondamente, come emerge nel libro di memorie di cui sopra, scritto a più di sessant’anni dagli eventi. Nell’opera compaiono puntuali riferimenti ad altri ebrei internati – M. Adler,  L. Birnbaum, B. Gedalja, M. Hantwurzel, G. Levi e F. Majaron – per i quali si rimanda alle relative schede.

A Macerata Feltria la famiglia non riesce a trovare un appartamento, perciò è costretta a vivere in una stanza dell’albergo Montefeltro, ottenuta al prezzo di duemila lire al mese. Qui Albert si dedica alla pittura ogni volta che può, inoltre studia inglese sotto la guida dell’internato jugoslavo F. Majaron.

La sede successiva, Pergola, viene descritta con grande affetto e con l’occhio ammirato del pittore, eppure Albert sostiene che qui i controlli e la severità erano maggiori rispetto a Macerata Feltria dove pure gli internati venivano obbligati a firmare la presenza in municipio tutti i giorni e a rispettare le regole imposte.

A Pergola è vietato tassativamente intrattenere rapporti con la popolazione, frequentare i bar e uscire dopo il tramonto; la posta è censurata e dev’essere aperta in presenza delle autorità; i movimenti sono circoscritti a un preciso ambito che lui indica in due miglia intorno alle mura cittadine. Per fortuna, la presenza di una ricca biblioteca - alla quale è loro consentito l’accesso - permette di dedicarsi alla lettura.

Da giovane artista qual è, Albert si fa molti amici tra gli studenti del posto, nonostante i richiami del segretario del fascio locale che lo tratta come un nemico personale. Attraverso tali contatti, Albert viene a conoscenza delle notizie di radio Londra che molti ascoltano, essendo fascisti solo all’apparenza. Il segretario comunale invece prende di mira suo padre Samuel al quale dice apertamente che non si capacita perché gli ebrei non si convertano in massa al cristianesimo.

Di grande importanza per gli Alcalay sarà poi il contatto con alcune famiglie di Pegola. L’amicizia con i Caverni è destinata a durare per tutta la vita. Ci sono poi i Camerini, famiglia composta da Astorre, dalla moglie e da quattro figlie. Questi ultimi rappresentano la più remota presenza ebraica di Pergola. I Camerini vivono in centro in un palazzo di loro proprietà e possiedono poderi gestiti in mezzadria con varie famiglie contadine.

Dopo l’esaltazione dell’armistizio (8 settembre 1943), cui fa seguito un breve periodo di quasi libertà – tanto che gli antifascisti del posto fanno suonare le campane in tutte le chiese – le vicende politiche conoscono un esito ben diverso. Con la nascita della RSI, il ritorno di Mussolini e l’occupazione tedesca, i pericoli per gli internati ebrei e gli antifascisti aumentano rapidamente. Si diffonde la paura della cattura per mano tedesca, anche se gli internati non hanno la percezione esatta di ciò che sta per accadere.

L’ordine d’arresto porta la data del 30 novembre 1943. Prima che il testo scritto giunga in paese via telegrafo, la notizia dell’arresto imminente di tutti gli ebrei vola attraverso la radio.

Il primo ad avvertire gli Alcalay e a consigliarli di fuggire è l’amico Miroslav Adler, a sua volta già in fuga da Urbania (PS), poi altri, anche italiani del posto, che li sollecitano ad andarsene al più presto.

Albert ricorda che è la figlia del direttore delle poste di Pergola, Lidia Buccelletti, ad avvisarli che il telegramma è arrivato: essendo pomeriggio, il padre di Lidia, d’accordo con un'altra donna, l’impiegata delle poste, aveva deciso di consegnare il testo ai carabinieri solo la mattina seguente dando modo agli ebrei di scappare.

Dai documenti della Questura di Pesaro sappiamo che la fuga da Pergola avviene il 2 dicembre 1943. Il protagonista per parte sua ricorda che quando lasciano la casa dove alloggiavano è l’ora di cena e tutti sono chiusi in casa. All’ultimo minuto si presenta da loro Marko Hantwurzel, un correligionario internato in paese che abita nella stessa via e che gli Alcalay conoscono dal periodo di Ferramonti.

Marko vuole andare con loro. Gli Alcalay lo accettano e in meno di mezz’ora si mettono in fuga tutti e cinque dopo aver consegnato le cose a cui tengono di più al farmacista Antonio Capannini che abita di fronte alla casa degli Alcalay.

Dopo varie traversie si nascondono sulle colline intorno, muovendosi tra Caudino e Palazzo, entrambe frazioni di Arcevia (AN). Vengono aiutati dal parroco di Caudino, don Domenico Rogo, da alcune famiglie locali e, in forma discreta, dai partigiani della zona che a detta di Albert riforniscono il prete di cibo dopo averlo sottratto ai ricchi proprietari per farlo distribuire a chi ne ha bisogno.

Gli Alcalay raggiungono anche Sassoferrato (AN) ma devono tornare indietro.

A Caudino vivono per un periodo presso la famiglia di Riccardo Bucci, poi da gennaio ad aprile 1944 in un mulino dei Caverni di Pergola. Infine si spostano a Palazzo presso la proprietà Monti gestita dalla famiglia Elisabettini. Achille Caverni, medico e pittore a sua volta, presta un aiuto fondamentale agli Alcalay nei giorni del pericolo, della paura e della fame. Achille resterà per sempre un grande amico di Albert. “Achille è come mio fratello”, scriverà l’ex internato all’età di 85 anni.

Ricordando i lunghi mesi della latitanza, Albert dice: siamo vissuti per quasi due anni come bestie.

Tra gli internati che ancora rammenta vivamente, l’avvocato antifascista Giuseppe Levi e Donatello GigliucciNel suo diario, Albert dedica a Gigliucci - un conte fiorentino sposato a un’inglese - parole di grande considerazione. Con il conte, dice, si poteva parlare di qualunque argomento, essendo uomo aperto e di vasta cultura. La colpa di Gigliucci era di aver osato deporre un mazzo di fiori sulla tomba di un pilota neozelandese. “Si è sempre dimostrato contrario al regime”, scrivevano di lui le autorità fasciste con sprezzo.

Una volta liberato il territorio, gli Alcalay tornano a Pergola e di lì nell’aprile 1945 si trasferiscono a Roma. Essi manterranno sempre un atteggiamento di grande riconoscenza verso gli amici italiani e i loro discendenti. Nel libro La valle dei giusti e dei salvati, le numerose testimonianze raccolte tra gli abitanti di Pergola contribuiscono a completare il quadro e a far rivivere rapporti umani intensi negli anni drammatici della guerra e delle persecuzioni.

Nella capitale, Albert riprende la sua attività culturale in contatto con personalità di spicco come i pittori Oscar Kokoschka, Carlo Levi e Renato Guttuso, e realizza alcune mostre personali di successo. Nel 1950 sposa una dottoressa jugoslava di Belgrado, Vera Eskenazi. Sollecitato dagli amici a raggiungerli in Israele, vive momenti di forte incertezza. Tuttavia, anche Kokoschka gli consiglia gli USA, scelta già maturata negli Alcalay.

In Arolsen Archives esiste traccia dell'istanza presentata da Albert all'IRO, l'organizzazione internazione per i rifugiati. Siamo nel 1949 e da Roma il pittore fa appello contro una prima decisone di rigetto della sua richiesta di espatrio in USA, datata 1948. Comunque anche in prima istanza era stato considerato una vittima del regime nazi-fascista. Egli aveva riferito che nel 1941 era fuggito da Belgrado verso la Dalmazia perché preferiva stare sotto l'occupazione italiana che sotto quella tedesca. Internato nel campo di Kavaya, Albania, poi in quello di Ferramonti, Calabria e infine mandato al "confino libero", dopo l'occupazione tedesca dell'Italia si era dato alla fuga restando nascosto fino alla liberazione. Aveva però fallito nel tentativo di convincere la commissione che il rimpatrio in Jugoslavia fosse per lui impossibile. Egli diceva che lì i suoi zii erano stati uccisi, anzi, tutte le sue relazioni erano state uccise (per i nomi e la sorte di tali congiunti si veda alle schede dei genitori di Albert).

A Belgrado vivevano tre suoi zii sopravvissuti al nazismo e uno di essi era rappresentante dell'AJDC: a detta della commissione essi non avevano alcuna obiezione politica contro il regime jugoslavo. Quanto ai timori di Albert di persecuzioni antisemite, queste non erano fondate poiché era noto che tali pericoli in Jugoslavia non esistevano.

Nel secondo appello del novembre 1949 il richiedente dichiara che  l'istanza di espatrio dei genitori e della sorella è stata accolta. Aggiunge che le sue obiezioni al ritorno nel paese d'origine sono fondate sul desiderio di libertà e di espressione artistica. E' contrario infatti ad ogni regime che incanali lo sforzo artistico per motivi politici. 

La commissione, vista l'accettazione degli altri membri della famiglia, gli concede il beneficio del dubbio e il suo appello viene accolto. Lasciata Roma, Albert (33 anni) e la moglie Vera (26 anni) nel luglio del 1951 s'imbarcano a Bremerhaven sulla nave "General Sturgis" diretti a New York. Sono stateless, apolidi, come la maggioranza dei viaggiatori (GENI).

Una volta in USA, Albert diventa professore di “Design” alla Harvard University, Boston, dove presta il suo insegnamento dal 1959 fino al 1982. Oggi le sue opere sono esposte al MOMA (Museum of Modern Art) di New York City e in altri musei americani, oltre che nel Museo di arte moderna di Roma. Padre di due figli, Leor e Ammiel, Albert muore nel 2008 a Brookline, il sobborgo di Boston dov’è vissuto.

Il 27 gennaio 2009 in occasione del Giorno della memoria, la vicenda di Albert Alcalay viene presentata alla cittadinanza di Arcevia (Ancona) - territorio dove gli Alcalay si nascosero nel 1944 - anche alla luce della pubblicazione della sua autobiografia negli Stati Uniti.