Levi Giuseppe

Giuseppe Levi nel 1943. Collezione Pupa Dello Strologo Garribba.
Famigliari compresenti: /Coniugato/a con: celibe
In Italia a: Genova
Percorso di internamento: C.di c. di Urbisaglia (MC) dal 26 giugno al 5 ottobre ’40; Apecchio (PS) dal 6 al 29 ottobre ’40; Sassocorvaro (PS) dal 5 al 30 novembre '40; c.di c. di Gioia del Colle (BA) dal 1°/12/’40 al 15/1/’41; c.di c. di Isola Gran Sasso (TE) dal 20/1 al 9/5/’41; San Leo (PS) dal 14/5 al 19/7/’41; Piandimeleto (PS) dal 20/7 all'11/11/’41; Pennabilli (PS) dal 12/11/’41 al 4/7/’42; Macerata Feltria (PS) dal 20/7/’42 al 15/5/'43; Cagli (PS) dal 15/5 al 16/6/'43; Sant'Angelo in Lizzola (PS) dal 16/6 al 29/7/’43.
Ultima località o campo rinvenuti: Sant'Angelo in Lizzola (PS)
Deportato: no
Ucciso in Italia: no
Dopo la fuga e/o la liberazione a: Genova
Fonti:
ASP; A3-b.16; A4; A5; ASCP; ASCSL; ASCPM; TAma; ASCS; ASCA; ASCMF; ASMAC, Ter; Car; Aula; LDM; M/M; LM/AM; Urb; BPin; Hope; TEGobbo; TMTrova; Marino.
Presente fasc. in ASP: sì
Profilo biografico:
Di professione avvocato, nel 1937 prende contatto a Parigi con Carlo Rosselli per combattere al fianco delle brigate internazionali repubblicane in Spagna. Viene scoperto tramite infiltrati e torna a Genova, ma ormai è bollato come antifascista da sorvegliare. Ha un fascicolo a suo nome presso il Casellario Politico Centrale, dove risulta uno dei circa 160.000 schedati.
Il 10 maggio 1938 viene arrestato e sconta tre mesi di carcere nella sua città, dopodiché è condannato a cinque anni di confino politico, che si ridurranno per Atto di clemenza del duce. Resta confinato per circa 19 mesi, da fine luglio 1938 al 27 febbraio 1940 passando attraverso i comuni di San Severino Rota (SA), Fuscaldo (CS) e Nocera Inferiore (SA).
Con l’ingresso dell’Italia nella Seconda guerra mondiale - 10 giugno 1940 - Giuseppe Levi viene nuovamente arrestato e destinato all'internamento, come accade a numerosi antifascisti ed ebrei. La prima sede di internamento è il campo di concentramento di Urbisaglia (MC) presso villa Giustiniani-Bandini, dove giunge il 26 giugno 1940. Ben presto la struttura si riempie di oppositori politici, alcuni dei quali condivideranno con Levi il successivo internamento nel pesarese: si tratta di Odoardo della Torre, Giorgio Ottolenghi e Ivo Minerbi, ricordati anche dall’internato Bruno Pincherle il quale rammenta che i quattro reclusi erano alloggiati nelle soffitte della villa.
Il giovane Levi ama la fotografia e a Urbisaglia denuncia lo smarrimento della costosa macchina fotografica che si era fatto spedire da casa, via ferrovia, ma che manca in valigia. Nonostante il divieto, sia nel precedente confino che nelle successive sedi di internamento realizzerà preziosi scatti agli altri prigionieri e agli ambienti.
Il 5 ottobre 1940, per problemi di salute lascia Urbisaglia e ottiene il trasferimento in un comune della Provincia di Pesaro dove può curarsi, prima Apecchio, poi Sassocorvaro che dispone di infermeria. La permanenza sarà breve in quanto di qui viene nuovamente allontanato per punizione: imprudentemente si è confidato con un altro internato, Leonardo Franchetti, suo correligionario, esprimendo commenti sgraditi al regime.
Inviato al Sud, Levi conoscerà prima il campo di concentramento di Gioia del Colle (BA), poi quello di Isola Gran Sasso (TE). Nel maggio 1941 è destinato nuovamente alla provincia di Pesaro. Trascorre un primo periodo di restrizione a San Leo, poi a Piandimeleto dove con altri ebrei e politici antifascisti dimora presso la famiglia Rosaspina che si rivela in sintonia con il sentire degli internati politici, tanto che di notte permette loro di ascoltare Radio Londra. Nel successivo comune marchigiano, Pennabilli, Levi è nominato rappresentante della Delasem. In tale veste coordina il gruppo degli internati, immortalati anche in alcuni scatti fotografici: si riconoscono Giorgio Saqui, Moisè Laib Ryza, Arturo Ball, Irma Olschowski e l' amico di Pino, Marco Finzi.
Da Pennabilli, Levi è trasferito a Macerata Feltria, sempre in territorio pesarese, dove resta a lungo, poco meno di un anno. Qui convive con numerosi correligionari, fra i quali Albert Alcalay, giovane architetto e pittore jugoslavo il quale nelle sue memorie ricorderà con affetto e stima l’avvocato genovese che definisce un fine gentleman, fermo oppositore del fascismo anche prima dello scoppio della guerra. Alcalay rammenta il capodanno 1942, passato insieme nell’albergo dove vivevano. Nell’occasione erano presenti i genitori di Levi, giunti da Genova, rammaricati del fatto che anche l’altro figlio, Renato, fosse vessato dal Regime, per cui a causa delle leggi razziali non poteva esercitare la sua professione di medico. Tutti loro erano esaltati per le notizie dei successi alleati a El Alamein, in Africa, e per le voci sulla strenua resistenza dei russi a Stalingrado: Giuseppe ordinò champagne e propose ai presenti di unirsi nel canto dell’Hatikva, futuro inno nazionale di Israele.
Per Giuseppe Levi ci saranno ancora due comuni obbligati, Cagli e Sant’Angelo in Lizzola. Il periodo di internamento, inizialmente in Provincia di Macerata, poi in quella di Pesaro e in altre aree della penisola, avrà la durata complessiva di circa tre anni. Tormentato dall'inerzia delle sue giornate, dalle restrizioni e dal pensiero per i genitori che vanamente rinnovano appelli alle autorità per farlo tornare a casa, Levi, i cui interessi politici e culturali spaziano in un vasto ambito, cerca anche di ottenere libri in lettura, sottoposti comunque a controlli e censure.
Liberato con le misure del Governo Badoglio dopo l'8 settembre, lascia ancora Genova, questa volta per unirsi spontaneamente alle formazioni partigiane dei Castelli Romani alle quali si aggrega nell’ottobre 1943 per diventarne il comandante militare. Legato da forte amicizia ad altri partigiani ebrei romani quali Marco Moscato/Moscati e Alberto Terracina, il primo dei quali sarà una vittima delle Fosse Ardeatine, Levi viene a conoscenza della razzia di Roma del 16 ottobre e, il mese seguente, dell’arresto a Genova dei suoi genitori per mano tedesca.
In qualità di capo partigiano, dimostrando sprezzo del pericolo, dedizione incondizionata e intelligenza tattica, Giuseppe Levi dirige alcune clamorose azioni di sabotaggio ai danni dell'esercito germanico, fra le quali quella al Ponte “sette luci” nella notte tra il 20 e il 21 dicembre 1943, descritte efficacemente nel suo Guerriglia nei castelli romani, edito nel 1945. All'intenso diario della sua vita partigiana si ispirerà il regista Nanni Loy per il film Un giorno da leoni, del 1961. Il ricordo degli eventi è ancora vivo nel 2016 presso anziani abitanti dei Castelli, oppositori del fascismo, quali Edmondo Del Gobbo e Maria Trovalusci, come si può vedere al capitolo: Rapporto con i partigiani.
Nel marzo 1945 Giuseppe chiede da Roma al Ministero dell'Interno l'indennità di alloggio e il sussidio statale. Dichiara di aver goduto del contributo fino a luglio 1943, di essere impossibilitato al rientro nella sua città e di vivere in condizioni di indigenza. La sua residenza nella capitale è presso l'amico ex internato Gastone Piperno. Le richieste di informazioni su Levi, che si è presentato con una carta d'identità rilasciata il 7/6/1941 dal comune di San Leo, partono dal centro - Ministero dell'Interno e Sottocommissione alleata alla pubblica sicurezza - verso le prefetture delle province dov'è stato internato: Macerata, Pesaro, Bari e Teramo, e le risposte ripercorrono l'iter appena tratteggiato.
A guerra finita, Levi, che aggiunge al proprio cognome quello della madre, denuncerà il correligionario che aveva di fatto causato il suo trasferimento in campo di concentramento, così come lo stesso aveva danneggiato un altro internato allora ristretto a Camerino (MC), Vittorio Sermoneta, che era stato condannato dal Tribunale Speciale a vent'anni di reclusione (fonte: Aula). Ma ormai il responsabile era andato incontro alla morte. La stagione della vendetta e del conflitto diventa sempre più lontana, come emerge dall'introduzione alla seconda edizione del diario partigiano, del gennaio 1971, nella quale Giuseppe Levi auspica un mondo non più segnato dall'odio dell'uomo verso l'uomo.
I genitori Aronne/Nino ed Emma Cavaglione, deportati da Genova, periscono nei lager nazisti come numerosi altri congiunti, i cui nomi compaiono nel Libro della memoria di Liliana Picciotto, e che si possono ritrovare nell'opera da noi dedicata all'ex internato-partigiano, citata nelle fonti pubblicate: Il ponte sette luci. Biografia di Giuseppe Levi Cavaglione.